venerdì 9 dicembre 2011

un appunto non scritto, a suo tempo, a Giorgio Bernardi Perini

Mi rincresce che l’emerito latinista Giorgio Bernardi Perini, tenendo la sua ammirevole difesa della universalità di Virgilio e di Teofilo Folengo, nella sua prima parte apparsa su la Voce di Mantova di domenica 23 ottobre 2011, sia incorso nella opposizione tra ciò che è universale e ciò che è dialettale quali due polarità antitetiche, quando asserisce “ Non immiseriamo Folengo! Retrocederlo a Merlin Cocai, a poeta dialettale, è uno sgorbio culturale”. Quasi che il dialetto non potesse essere una lingua d’arte universale, e la nobilitazione del maccheronico fosse uno svilimento del latino, e non già, casomai, di sue ricorrenze auliche paludate di falso. decoro
Scrivere in latino maccheronico a regola d’arte e pensare in dialetto mantovano non si escludono a vicenda, e supporlo significa disconoscere forse la peculiarità più esemplare della cortese gente mantovana, che è appunto, il senso della concretezza particolare, imperfettamente limitata, di ogni universalità generale, mediterraneo figurativa o nordico- speculativa, ne la declinazione umbratile e acquatica della variante lombarda e padana dell’arte e della cultura italiana, in cui ha intrigato gli stessi i geni forestieri accorsi alle sue corti, secondo la lezione interpretativa magistrale di Roberto Longhi, che matura nella sensibilità della densità terrestre di ogni destino, nell’avvertenza disincantata e scettica dei fasti e dei trionfi di ogni signore del mondo, e che trova espressione umorale nelle nostalgiche reminiscenze brumose e lacustri dello stesso Virgilio,* .
La polarizzazione disgiuntiva di dialettale e universale, è infine un’opposizione esclusiva che resta subalterna della mantoanità più deteriore e retriva, quella leghistica che commuta lo spaesamento del sublime virgiliano in tradimento delle proprie radici, anziche intenderlo come una loro trasmigrazione più alta, il comico folenghiano nella buffoneria stravagante e quant’altro, il che suscita la ripulsa condivisibilissima del Bernardi Perini, ma che disconosce che il dialettale non è la veste da camera che può rivestire solo tali spoglie mentali, che immeschiniscono la concretezza particolare in chiuso particolarismo localistico

mercoledì 16 novembre 2011

Sulla Casa del Mantegna 2

Alla lettura dell’ intervento conciliatore di Roberto Pedrazzoli, ex assessore alla cultura della Provincia, apparso sulla Gazzetta di Venerdì 4 novembre, m’ero venuto oramai rassegnando alle difficoltà che si frappongono a che la Casa del Mantegna divenga la mostra virtuale delle opere del suo artefice, secondo la proposta che già era sta avanzata da Stefano Scansani. Come potevo non piegarmi alla dolente rinuncia, di fronte al susseguirsi delle scansioni inesorabili del discorso fermo e conciso dell’ex assessore, tutt’altro che autoesponenziale, tutt’altro che infarcito dei tecnicismi che negli interventi sul pgt di Mantova, lasciano solo intendere la disperazione dei migliori intenti degli intervenuti
Come sarebbe possibile venir meno alla consacrazione della Casa del Mantegna a presidio dell’arte moderna e contemporanea, dopo le tante grandi mostre ospitatevi dell’arte dei nostri tempi e di antiche cose, che hanno fatto grande la cultura e l’immagine di Mantova? Quando si è in assenza d’ambienti alternativi alla gloriosa casa nelle sue vetuste mura, cui destinare irrinunciabilmente l’arte moderna e contemporanea? E’altrimenti mpossibile, lamenta Roberto Pedrazzoli, sopportarne la perdita serenamente. L’idea di Scansani, se ad essa occorre immolare l’unico spazio d’avanguardia consolidatosi e che sia sussistente in Mantova, svanisce in una chimera dai connotati che sono quantomai repulsivi, di un miraggio antagonistico antiquariale.
Qui taccio il dubbio insortomi, che l’ammanto del prestigio monumentale della Casa del Mantegna, l’arroccarvisi a presidio inespugnabile, ritardi la presa d’atto che l’arte moderna e contemporanea, la ricerca in corso tanto più dopo gli insediamenti universitari in mantova, reclamano molto di più che solo tale baluardo, quanto da avamposto dell’avanguardia, esso possa esserne oramai diventata la estrema ridotta.
Ed ora vengo al dunque di fondo: era poi così vero il presupposto di tutto quanto l’ impianto del discorso dell’ex assessore? Che non si profilino in Mantova altre sedi espositive per l’arte moderna e contemporanea, che siano immaginabili e possibili solo in tempi ben di là da venire, quando delle province si sarà perduto anche il ricordo, a meno delle invasioni, e sottrazioni di campo, di conflitti di potere e di attribuzioni neanche pensabili? A dire il vero, fin dall’inizio del caso avevo in mente, in tutto il suo fascino, una destinazione alternativa in Mantova dell’arte moderna e contemporanea, che la porrebbe in ancor più splendido contrasto con gli evi remoti in cui sarebbe stata collocata, precipitandola giù, giù nella notte dei tempi, fino alla antiche origini della città, ma non avevo osato formularla pubblicamente, tant’era splendida quant’è fattibile. Sin che a darmi il coraggio di avanzarla, risalendo nel tempo non più tardi che a qualche mese fa, è stato un articolo della Gazzetta che ho ritrovato di sera in internet, datato il 16 giugno 2011, in cui l'architetto Massimo Ghisi, che io non ho il piacere di conoscere , al Comune, o alla stessa Provincia, qualora il sindaco Sodano restasse sordo al suo appello accorato, ch'è rimasto finora inascoltato, offre un sito espositivo mirabile, con incorporate le antiche mura romane che affrontarono l’urto longobardico, finanche le stalle rinascimentali di Ferrante Gonzaga: nella sua vastità enorme niente di meno che gli ex- Magazzini. del sale.
”Appena sarà pronto - spiega Massimo Ghisi, nell’articolo - lo presenterò al sindaco Sodano e a tutte le autorità pubbliche interessate. Il mio sogno è di fare di questo complesso una galleria di arte contemporanea». Il famoso progetto Mac, ma non si può immaginare che faccia tutto un privato. «Naturalmente, bisognerà appunto sentire il Comune, la Provincia e le altre istituzioni. Con Mantovacreativa c’è stata un’anticipazione, ma il vero passaggio è portare il progetto al sindaco”
Che ne dice la signora Zaltieri, di muoversi per prima?

In sintesi, sistemati i pezzi, è questa la mia proposta, a ruota di quella di Scansani: in virtù delle sinergie di Comune e Provincia, nella Casa del Mantegna e nel San Sebastiano, riaperto al pubblico, allestire i musei virtuali dell’opera omnia del Mantegna e dell’Alberti, mentre il museo della città di Mantova potrebbe essere ampliato a esposizione di mappe e di carte, e di immagini d’epoca, che rievochino i mutamenti del volto nel tempo di monumenti e vie e quartieri, non che di arti e mestieri, della nostra città e del suo territorio, recupeerando per il suo ampliamento l'ex convento di fronte di San Sebastiano, che potrebbe albergare tutte i musei civici dispersi in varie raccolte, secondo la proposta già avanzata da Salvatore Settis alle autorità virgiliane, la Celeste Galleria ritornerebbe virtualizzata nel Palazzo , mentre grazie alle sinergie di pubblico e privato, l’ex Magazzino del sale potrebbe diventare la nuova sede di mostra del'arte moderna e contemporanea, dislocandovi le esposizioni temporanee, cantieri e laboratori porogettuali, laddove la mostra permanente dell'arte mantovana di Ottocento e Novecento potrebbe nell' ex convento di San Sebastiano trovare una sistemazione complementare, attivando, in tutto questo, le scuole e istituzioni e fondazioni cittadine, l’università innanzitutto, i nostri bravi studiosi e ricercatori locali.

zero culturale

Rileggendo la lettera durissima di L. F, apparsa sulla Gazzetta di Mantova domenica scorsa, il 13 novembre, a distanza di giorni sono rimasto basito dalla concatenazione di interrogativi che mi ha suscitato.
Come può un'amministrazione, con il suo solo silenzio, convalidare la giustezza di un attacco che è una condanna inappellabile della sua politica culturale, dare la conferma più evidente che l'attaccio ha colpito nel segno, di quanto fosse ben diretto lo strale dello sdegno sferzante che ne anima la sacrosanta denuncia.
Sa il nostro sindaco che cosa sia “ cultura”, vi si chiede, se consente che il Palazzo della Ragione sia destinato a dei festini di partito e a che i galleristi vi procaccino i loro affari, che vi sia allestito “ Fiera Mantova Sposi”?
Quali iniziative culturali possono mai concepire, vi si chiede in conclusione, degli amministratori che non tengono in alcun conto la cultura, forse perché per loro “ con la cultura non si mangia”, secondo il detto esecrabile dell'ex ministro Tremonti, in cui ha volgarizzato il " carmina non dant panem"
Ma consequenzialmente mi sono chiesto, con pari sconcerto, se tale denuncia del disdegno in cui il nostro Comune tiene la cultura, non sia la fonte d'ispirazione che può conferire l' unica plausibilità immaginabile della bella trovata con cui si è concluso l’incontro a cronache unificate con la Consulta scolastica dell’assessore alla cultura della provincia, Signora Zaltieri, che l'ha congedata con il lancio di un “cultur day”. E perché non un Reality Day, per essere ancor più generici e vaghi di specifici intenti?
Altre ragioni accettabili non vedo, che possano giustificare una proposta di una indeterminatezza così desolante, un vaso di Pandora che può riempirsi di tutto, dell'indagine dell'infiltrazione mafiosa nel tessuto locale, della denuncia della crudeltà verso gli animali di certa cortese gente mantovana, della performance emozionante di chi è disabile non che della concordia della condivione interculturale,quanto dello sgorbio primordiale o dell’ enfasi teatralizzata di qualsiasi banalità comunicativa adolescenziale?
Come dire, in definitiva, che la vuotaggine della cultura in Provincia trarrebbe così ispirazione dalla nullità culturale del Comune.

Quanto al gallerismo privato, per non essere connivente con l'inerzia di chi lascia le cose che non vanno come stanno, non posso tacere che è stato finora inutilmente contattato a Modena il sovrintendente interregionale, Stefano Casciu, e che inutilmente egli finora si è espresso in merito, perché si ovviasse all’inconveniente che chi ha allestito la mostra dei disegni tratti dal ciclo sull'Eneide di Niccolo dell'Abate, non si è minimamente curato, oltre che del catalogo, di indicare al visitatore che i meravigliosi affreschi originari sono godibilissimi a non più di un'ora d'auto nella Galleria Estense di Modena, eccettuati tre di essi, finiti bruciati, di cui i disegni in Mantova, antecedenti la combustione, conservano ancora i bei lineamenti altrimenti perduti.

sabato 12 novembre 2011

Di nuovo sulla Casa del Mantegna come sua mostra virtuale

Dopo l'intervento di Roberto Pedrazzoli, ex assessore alla cultura della Provincia di Mantova, " Io difendo l'arte moderna nella Casa del Mantegna", già mi ero ancor più persuaso, a dispetto dei suoi argomenti, che Stefano Scansani disponga di molte più ragioni da vendere di quante non ne abbia già espresse - nel caldeggiare appassionatamente che la Casa del Mantegna ne divenga la mostra virtuale delle opere eccelse. Il nobile canto del cigno che nel vibrato " io difendo" l'ex-assessore ha intonato, nostalgico di un'epoca culturale oramai trapassata, mi aveva disvelato che il prestigio monumentale della Casa serve più che altro a mascherare che da avamposto di avanguardia dell’arte moderna e contemporanea, qual era ai tempi ruggenti di Bertoli e Baratta,- per me di che cara e grata memoria-, ne è diventata da tempo una scricchiolante ridotta, dai limitati raccordi, quando non è avulsa, con i mutamenti intervenuti frattanto nel contesto culturale mantovano,-tra l'altro, piaccia o dispiaccia, sempre più interculturale ed interreligioso-. Mi riferisco all' istituzione dell'università di Mantova, innanzitutto, in relazione con le cui facoltà di architettura  e di ingegneria è gioco forza che il contesto propositivo ed espositivo delle arti sia polarizzato e rivitalizzato, assai di più di quanto Pedrazzoli ha rammemorato che si è pur verificato, dato il rapporto ch'è fondamentale, nella civiltà italiana, tra le arti varie e le configurazioni architettoniche ed urbanistiche della città e del paesaggio territoriale.
Ad un certo punto mi è parso che Pedrazzoli voglia addirittura indurre lo Scansani a convenire, e ad assecondare, quanto poco si sia speso in effetti per onorare il nostro Novecento artistico, che Scansani, come tutto ciò che non sia antiquario, avrebbe a disdegno e in gran dispitto. " Per l'Arte ccontemporanea, Scansani si rassicuri, la Provincia non si è mai svenata". Fosse vero ciò che insinuo, si tratterebbe di una vera e propria chiamata in correità culturale, se a quanto credo, come semplice amatore curioso, il Novecento è il più alto secolo in Mantova di pittori e scultori locali,- con il Settecento, e forse ancora di più,- talmente già sotto i Gonzaga il genio esterno- e allora lo era per davvero- aveva compresso e depresso quello nostrano.
Ma poi è intervenuta l'assessore Zaltieri a fantasmagorizzare tutto, e secondando d'incanto le sue proposte, mi è parso già di vederla, la Casa del Mantegna, dilatarsi a dismisura in tutta la sua evocata vastità di arca arcana di mirabilia, farsi fucina e laboratorio e bottega di ogni arte e mestiere, campo di scorrimento e di sosta, indisturbata, del trasumanar ed organizzar di allestimenti e cantieri scolastici, prima che scatti il lasciapassare a fasi alterne, e come il Po, il Secchia, il Mincio, il Mella, il Chiese e l'Oglio nella Sala dei Fiumi, vi concorrano in concomitanza i territori, con le loro narrazioni e relazioni, e vi aprano percorsi e vi instaurino dialoghi artisti mantovani d'ogni età e ispirazione, l'alto Virgilio con il faceto Fredon.
O forse io non sono riuscito ad immaginarmi come tutto questo sia possibile allo stesso tempo nella stessa sede, senza che alcun trepestio e vocio e calpestio o sgomitio sia d'intralcio alle imprese, o che queste patiscano ristrettezze o ingombro alcuno di camini od arredi, nel più bell'agio consentito dai suoi ambienti angolosi. Forse, piuttosto, permane un eccesso di costipazione risicata in tutto questo, la costipazione che allo stesso tempo è addensamento- fabulatorio- di troppo nello stretto, e stipsi stitica di stanziamenti di fatto, ah, questo, il vero in effetti, del volersi intestare così tanto, nel fare rientrare tanta dovizie- fittizia- di proposte nella sola sia pur eccelsa Casa del Mantegna, per piccina ed eccelsa ch'ella sia. Un poco come tutti in un punto prima del big bang. Senza che sorga un solo dubbio, cautelativo, che si sottoponga l'intero impianto mantegnesco ad una sollecitazione ch'è a rischio di un suo crollo.
Scusi, cara Zaltieri, fuor di facezie, ma qualcuno si è stancato, da tempo, di tutte le volte che la cara Sinistra è passata dalla fantasia alle fantaparole al potere.
Della sua custodia cautelare emarginante.
Le sue sono proposizioni che fabulano tanto di eventi effimeri, e non hanno la realisticità di salvaguardare o di attuare ciò che sia permanente, innanzitutto recuperando, tutelando,riordinando, catalogando, consolidando, reinterpretando e “riqualificando” per avvalorare di nuovo.
Il che non è il massimo del dispendio, anzi, lo previene, in corrispondenza d' amorosi sensi con chi intenda localizzare in Mantova dei distretti tecnologici che perseguano- in sintonia con nuovi stili di vita...- il massimo risparmio energetico ed il minimo impatto ambientale.
Mi creda, lei è così venuta intessendo delle cantafole che possono indurre al malanimo di non dispiacersi più di tanto di non trovare interlocutori in Provincia, a non disperare ad oltranza dell’agonia espositiva della Casa di Mantegna, giacchè si può confidare pur sempre che incomba, ineludibile, l'abolizione della nostra come di ogni altra Provincia, per lo sgombero del suo Palazzo a magnifica sede sostitutiva di mostre e convegni.
Mi ascolti, a patrocinio accorato di una esausta Signora, quando le faccio presente che forse, intanto, la Casa del Mantegna auspica un meritato e tranquillo ed ozioso riposo, la quieta frequentazione che fa così belle le Città del silenzio, e che ai secoli dei secoli ella non chiede più altro che di essere visitata da chi solo ami, e non si attenda di meglio nelle sue segrete stanze, che vedervi evocate le opere del suo artefice massimo.


P. S
Il lettore intanto non perda l’occasione di vedere, nella Casa del Mantegna, la mostra Opere dalla Collezione d'arte moderna e contemporanea della Provincia di Mantova, può bastare un solo Polpatelli, o al più alcuni perfetti Cavicchini o le sublimi tele di Faciotto, a giustificarlne la visita, tanto più che potrà godere il piacere eletto di visitarvi le opere esposte in assoluta solitudine, un piacere pari solo a quello di visitare le chiese e di pregarvi e di meditarvi del tutto solinghi i giorni feriali, quando è garantito che non vi sia il fittume devozionale materialistico, oltre alla sincera fede, che può evocare in certe anime pie soltanto qualche discesa episcopale, tale piacere solitario l’ho sperimentato nella casa del Mantegna una, due, tre, quattro cinque volte senza eccezione, chissà, forse perché vi sono capitato od ho evitato di andarvi quando non vi era in visita qualche assessore, con il suo seguito annuente, a riconferma che meglio che lì quelle opere contemporanee moderne non possono essere esposte per essere viste dai pochissimi.

Lot e le sue figlie

Sulla Voce di Mantova di giovedì 10 novembre 2011, figura una libera trasposizione, di cui è autore il signor Gianfranco Mortoni, dei passi della Genesi che riferiscono quel che di certamente improponibile intercorse tra Lot e le sue figlie, un duplice incesto il cui reportage giustifica per il Mortoni una liquidazione senza appello della stessa Bibbia. “Te la do io la Bibbia”, egli conclude, usando parole in cui uno può udire l’eco oscura dell’interdizione ai fedeli del suo libero esame da parte dello stesso Magistero Pontificio, almeno dal 1471 fino alla “Dei Verbum” del 18 novembre 1965. Sono davvero desolato che la lettura della Bibbia abbia schifato o adontato così tanto il signor Mortoni, sviandolo a tal punto che ha rovesciato del tutto il procedere delle vicissitudini familiari che sono raccontate nei passi incriminati. Se uno non si fa oscurare la mente dai riflessi patriarcali che seguitano a condizionarci, secondo i quali l’iniziativa sessuale ha da essere del maschio, nei passi in questione non si legge, come Mortoni traspone, che sia stato Lot ad avvinazzarsi per abusare senza freni inibitori delle figlie, ma che al contrario, sono state le figlie ad ubriacare il padre per copulare con lui, e non certo perché lo vagheggiassero, ma perché in assenza di altri uomini non potevano altrimenti superare l’impasse di restare senza discendenza. E’ pur sempre un misfatto, senza se e senza ma, d’accordissimo, ma per biblisti reverendissimi, e antropologi e mitologi, ad un certo livello di lettura esso si rivela una faccenda del tutto illuminante, che non li riguarda più come sconcia indecenza. Si figuri, il caro signor Mortoni, che negli antichi testi vedici dell’induismo è Dio stesso, Prajapati, padre della creazione, che copula con la propria figlia, Usas, l’aurora, il cielo, e non una, ma più e più volte, secondo i Purana, o all’infinito, per tutte le coppie dell’universo che Prajapati ingenera sdoppiandosi in una controparte femminile, e la ragguaglio che è altrimenti incestuosa anche la coppia primordiale di Yama e Yami, fratello e sorella, di cui per giunta esiste la versione giapponese di Izanaki e Izanami.( vedi Raimon Panikkar, Il mito di Prajapati, La colpa originante ovvero l’immolazione creatrice, in Mito, ermeneutica e fede, pagine 91-95 in particolare). Non seguito oltre, con quanto accadde in tali contesti tra Manu e sua figlia, per non offendere il senso laico del pudore del signor Mortoni e di altri lettori. Me ne dispiace, in fede mia, peccato, davvero, perché si tratta di mitologia, non di storia, ed a seguirne il filo, quanto più il racconto sembra inammissibile, una nefandezza illogica assoluta, tanto più esso ci rivela la realtà prima ed ultima di tutte le cose. E ci disvela in tal caso, -secondo il biblista André Wénin, ad esempio – che quelle figlie e quel genitore dai precedenti non meno inquietanti- il padre le aveva già offerte agli abitanti di Sodoma perché non abusassero più di lui che dei due angeli, suoi ospiti maschi-, loro malgrado stanno subendo il limite che è la stessa mancanza che forse si rileva nel nostro interlocutore: ossia l’assenza di alterità ( di alterità culturale, sia ben inteso, nel nostro interlocutore. Che è indispensabile, egli mi creda, a fedeli ed infedeli, per perseguire lo scopo comune fondamentale di umanizzare gli uomini.).

pieta per gli animali

Nell’imminenza, domenica 6 novembre, dell ‘eid al adha, la festa islamica del sacrificio e dello sgozzamento, vorrei intervenire su ciò che in “1500 battute” della Voce di Mantova del 21 ottobre 2011,  ha espresso Dino Bertolini sulla macellazione islamica della carne halal.
Egli ha allora deprecato che la Lav abbia dato credito alle “emerite bugie” di non meglio precisati mussulmani, che avrebbero assicurato che in Italia gli animali sarebbero storditi prima di essere sgozzati e lasciati morire per dissanguamento, una forma di pietà che del resto essi non sarebbero tenuti a esercitare,  perché consente a loro di non praticarla una deroga della legislazione italiana che tutela “gli animali da inutili e crudeli sofferenze”, secondo la denuncia dell’ENPA, l’Ente Nazionale Protezione Animali.
Se Dino Bertolini avesse tempo e modo di leggere le pagine che in “ Maximum City, Bombay città degli eccessi”, Suketu Metha ha destinato alla celebrazione islamica di Bakri Id , alle pagine 189-194, avrebbe di che invocare l’apertura delle cateratte del cielo insieme con quella dei fondali terreni.
E’ terrificante la crudeltà verso il mondo animale cui può indurre una religione. Pietà verso gli animali, è sacrosanto e legittimo invocare, con il grande filosofo cristiano-kantiano Piero Martinetti, pretendendo che una legislazione che ne eviti inutili sofferenze sia fatta valere nei riguardi di tutti, nessuno escluso.
E nessun indebito riguardo interculturale può giustificare deroghe speciali, o che un’associazione animalista certifichi il falso, dando via libera alla macellazione senza stordimento preventivo dell’animale che sarà sgozzato. Ma la pietà per gli animali non può mai diventare una legittimazione della nostra disumanizzazione nei riguardi della specie umana, di chi è innanzitutto il nostro prossimo, proprio perché è lo straniero o in esso avvertiamo un nostro nemico.
E’ più che umano, quando la nostra capacità di amare è mortificata dagli uomini, rendersi “ sprezzator degli uomini” e donare tutto il proprio affetto all’innocenza animale. Ma non è condivisibile che l’affetto per gli animali sia razionalizzato in un ripudio argomentato e pubblicizzato di un intero universo umano, quale la immensa civiltà e popolazione islamica..
Rammento ancora vividamente quanto ebbe a dirmi un giovane tunisino della Crumiria, oramai tanti anni fa, raccontandomi delle lacrime che pianse per più giorni, quando per l’eid in famiglia venne sgozzato inesorabilmente l’agnellino che aveva più caro.
Tale festa dell’eid, con il sacrificio rituale di moltitudini sterminate di animali,” un massacro” come lo definisce Suketu Metha nelle sue pagine impressionanti cui mi sono riferito, è una carneficina che ricorda il sacrificio di un montone effettuato da Abramo, sostitutivo di quello che egli stava per compiere del figlio Isacco, perché così credeva che volesse Dio ( rimando in proposito a quanto ne scrive Vito Mancuso in Io e Dio, alle pagine 173-182, che condivido assolutamente).
Ora, prima ancora che della religione islamica, Abramo è un capostipite della religione ebraica e di quella cristiana. Nel suo nome, in cui echeggia il tremendo di ogni senso del sacro, l’uomo di presunta fede perfetta, inossidabilmente cristiano e occidentale, può dunque sentirsi obbligato a compiere in obbedienza al suo Dio un sacrificio maggiore di quello di un animale. Il sacrificio, di cui la Croce è il simbolo eterno testimoniale, che Dio stesso, come Amore trinitario, ha compiuto del Suo Figlio medesimo secondo il cristianesimo. Liberando l’uomo dalla richiesta di ogni ulteriore olocausto che non sia il sacrificio perenne di se medesimo..
Attenzione, dunque, rispetto e riguardo, allorché si affronta in tali questioni ciò che è fondamentale per ogni uomo, stando in ascolto di tutte le risonanze che assume ogni nostro discorso.
 

giovedì 3 novembre 2011

the riverbank field

Quale mio omaggio alla grandezza poetica di Seamous Heaney, nostro concittadino onorario, e per il suo tramite a quella eccelsa di Virgilio, offro al pubblico dei lettori di questo giornale le mie traduzioni di tutti i testi poetici di mia conoscenza del poeta irlandese, Premio Nobel 1995, di cui il genio virgiliano è stato ispiratore.
Ogni mio atteggiarmi che appaia di disdegno di recenti dichiarazioni esautoranti l’ uno e l’altro, è puramente e deliberatamente intenzionale.

Da Catena Umana- Humain Chain 2010
The riverbank field
Il campo in riva al fiume

Ask me to translate what Loeb give as
“ In a retired vale … a sequestered grove”
And I’ll confound the Lethe in Moyola

By coming through Back Park down from Grove Hill
Across Long Rigs on the riverbank-
Which way, by happy chance, will take me past

The domos placidas, “those peaceful homes”
Of Upper Broagh. Moths then on evening water
It would have to be, not bees in sunlight,

Midge veils instead of lily beds; but stet
To all the rest: the willow leaves
Elysian-silvered, the grass so fully fledged

And unimprinted it can’t not conjure thoughts
Of passing spirit-troops, animae, quibus altera fato
Corpora debentur, “spirits”, that is,

“ to whom second bodies are owed by fate”.
And now to continue, as enjoined to often,
“ In my own words”

“All these presences
Once they have rolled time’s wheel a thousand years
Are summoned here to drink the river water

So that memories of this underworld are shed
And soul is longing to dwell in flesh and blood
Under the dome of the sky.

after Aeneid VI, 704-15, 748-51









Chiedimi ch’io ti traduca ciò che per Loeb 1
è “ in una solitaria valle…
un appartato bosco”2 e ti
trasfonderò il Lete nel Moyola,

pervenendo attraverso Back Park
giù da Grove Hill, per tutto Long Rigs
sino alla riva del fiume3- un percorso
che per un caso felice, mi porterà oltre

le domos placidas,4 “quelle placide case”
di Upper Broagh. Falene su acque serali
invece che api5 nella luce del sole,

invece che aiuole di gigli6
velami di moscerini; ma “stet”

sorga tutto il resto, come uguale,
le foglie di salice elisio-argentee,
l’erba dei prati così in resta 7,

e incalpestata, che non può
non evocare pensieri di schiere
di spiriti in transito , animae,
quibus altera fato corpora debentur, 8
“di spiriti”, cioè, “cui secondi corpi

siano attribuiti dal fato”.
Ed ora per continuare, come spesso
mi si ingiunse” con le mie parole”

“ Tutte queste presenze
Dopo che hanno fatto orbitare
Per mille anni la ruota del tempo
Sono convocate qui a bere Letee acque

A che vada persa ogni loro memoria
Di questo mondo a voi sotterraneo
E l’anima sia ardente di rientrare
In carne e sangue sotto la volta celeste9”

da Eneide VI, 704-15, 748-51
Commento

Il paesaggio terreno in cui transita il poeta è lo stesso umile paesaggio dell’ Irlanda del Nord dove trascorse la sua infanzia favolosa- da Seamus Heaney rievocato mirabilmente nelle pagine prosaiche di Attenzioni- e dove il fiume Moyola scorre in un parco- ma è tale la virtù della poesia, che al poeta basta che traduca Virgilio, secondo gli spunti che gli offre l’edizione Loeb, senza ancora ricorrere a parole sue, perché tale realtà si traduca a sua volta in quella ultraterrena dei Campi Elisi evocati da Virgilio nel canto VI dell’ Eneide, ed al contempo l’oltremondo si trasfonda nella realtà circostante che se ne fa apparenza, ne diventa la trasposizione e l’ inveramento nella sue più umili ed evanescenti vite animali, falene e moscerini. In virtù della parola poetica tale realtà naturale risulta talmente incontaminata, che i prati intatti ne sono diventati le estensioni elisie in cui possono essere di passaggio solo i puri spiriti, le sole presenze che possono transitarvi lasciandoli così integri. Come le acque del fiume Lete le parole poetiche tramutano a tal punto le cose, che rendono decidue le impronte dolorose di ogni traccia mnestica, e l’anima può smaniare di rifarsi nuovamente carne e sangue, di avere di nuovo, la misera, “lucis …dira cupido” ( Virgilio, Eneide VI, 721), come smaniano di riassumere un corpo le anime elisie dell’oltremondo virgiliano, che dalle acque del Lete siano state rese immemori della propria esistenza terrena antecedente.
Note
1) Seamus Heaney si riferisce all’edizione dell’Eneide edita dalla Loeb Classic Library
2) Eneide VI, 704-705 “Interea videt Aeneas in valle reducta/ Seclusum nemus et virgulta sonantia silvae”
3) “Se il lago Beg segnava un limite del terreno dell’immaginazione, Slieve Gallon ne segnava un altro. Slieve Gallon è una montagnola nella direzione opposta, che porta l’occhio sui pascoli e i terreni arati e i boschi lontani di Moyola Park, lontano verso Grove Hill e Back Park e Castledawson” Attenzioni, Preoccupations. Prose scelte 1968-1978 Editore Fazi, 2004, pg.9
4) Eneide VI, 705 “Lethaeumque ( Videt Aeneas) domos placidas qui praenatat amnem”. Sono le sedi dei beati che lambiscono le acque del Lete.
5) Eneide, VI, 706 -709 “Hunc circum innumerae gentes populique volabant:/Ac velut ij pratis ubi apes aestate serena / floribus insidunt variis et candida circum/ Lilia funduntur, strepit omnis murmure campus”.
6) Vedi nota precedente
7) Letteralmente “ impennata”, l’erba, in steli e spighe e infiorescenze, e dunque rigogliosa e composta come un piumaggio erto e compatto.
8) Virgiliio, VI, 713-715 : “Tum pater Anchises: animae, quibus altera fato/ corpora debentur, Lethaei ad fluminis undam/ Securos latices et longa oblivia potant”
9) Virgilio, Eneide, VI, 748-751 “ Has omnis, ubi mille rotam volvere per annos,/ Lethaeum ad fluvium deus evocat agmine magno, / Scilicet immemores supera ut convexa revisant/ Rursus et incipiant in corpore velle reverti”.

Mantova virtuale (3 novembre 2011)

In merito a quanto Stefano Scansani sostiene nel suo intervento apparso su La Gazzetta di Mantova di Ognissanti, “Ci sorge un dubbio La provincia sta facendo niente?”, debbo dirmi pienamente concorde con le sue critiche alla destinazioni abituali degli spazi espositivi della casa del Mantegna e con le sue proposte alternative. La Casa del Mantegna va adibitas secondo le aspettative dei suoi visitatori che siano dei turisti, e finalizzarne gli spazi espositivi ad una visualizzazione dell’opera omnia del Mantegna, ripristinando ed integrando gli apparati virtuali della mostra del 2006, di modo che il frequentatore sia aggiornato sulle controversie interpretative e attributive e sulle risultanze dei lavori di restauro mantegneschi, è davvero un’idea eccellente. Si potrebbe estendere tale ideazione – oltre che alla Celeste galleria ducale-, anche al San Sebastiano per l’opera e la fortuna dell’Alberti, mediante un incanto scenico di proiezioni e prospezioni in cui siano coinvolti i modellini lignei che vi sono la giacenza della fortunata mostra “Leon Battista Alberti e l’architettura”, pur risalente al fatidico 2006. La fantasmagoria rigorosa dell’impianto potrebbe assicurare il buon esito dell’ordinaria apertura al pubblico del tempio. Lo stesso discorso potrebbe valere anche per il Museo della Città di Mantova, la cui sublime raffinatezza espositiva è incontestabile, ma a mio avviso non è ciò che vorrebbero ritrovarvi i suoi visitatori potenziali, che in un museo della Città -o in una sistemazione attigua, complementare a quella sussistente- forse amerebbero prima di tutto vedere esibite le mappe e le carte del passato di Mantova e provincia, e rinvenire le ricostruzioni virtuali e le immagini d’epoca, o pittoriche, dei mutamenti del volto architettonico e urbanistico della nostra città, quanto del paesaggio dei territori con cui essa è stata in relazione, dalle più remote origini sino a tutto il Novecento, un lavoro di equipe che può essere svolto in collaborazione con le più varie istituzioni culturali e scolastiche di città e provincia. Tali proposte hanno il pregio di valorizzare innanzi tutto, divulgandolo attraverso la sua visualizzazione, l’immenso travaglio oscuro, quanto preziosissimo, degli studi e delle pubblicazioni remote e recenti dei tanti nostri bravissimi ricercatori locali, senza che si debba necessariamente invocare il soccorso di certi esperti “esterni” di grido, pilotati in Mantova dai vertici politici che vi siano in auge. I risvolti polemici dell’intervento benemerito di Stefano Scansani lasciano tuttavia scoperto il fianco ai legittimi risentimenti di “ pittori, scultori, grafici e mercanti” galleristi, contro i quali egli ha scientemente acuminato i suoi strali, giacché tutti quanti costoro possono obiettargli che il loro sfratto dalla Casa del Mantegna, di cui a suo dire abuserebbero “come se la Casa fosse una galleria”, richiede che dalla Provincia siano garantiti, reperiti e messi a loro disposizione centri espositivi alternativi ed equivalenti, da destinare alle mostre che per davvero sono imprescindibili, tra quelle di dubbia natura che hanno finora trovato spazio nella Casa del Mantegna. La cultura della nostra città, - si può già ben immaginare che gli ribadiscano-, non ha da essere la sola “ricerca di Mantova com’era”, ma inseparabilmente l’indagine di come è ora Mantova, e la prefigurazione di come Mantova potrà o dovrà essere in futuro, – traendo dal passato, si può ben convenire, le profondità prospettiche che evitino l'appiattimento mentale nei modi in cui il presente già pensa se stesso senza venire a capo di niente. Ed è infine ugualmente innegabile che le mostre delle gallerie per venali che siano, a fine eminente di lucro, spesso permangono indispensabili a che le singole esperienze artistiche e progettuali assumano un senso condiviso e più compiuto, che siano esperienze già successe o ancora in corso, come è innegabile che occorre che trovino adeguata sede illustrativa e diffusiva i vari delineamenti dell’avvenire della nostra città, quali ad esempio quelli che vengono elaborati dalla cerchia degli allievi dell’architetto Maria Cristina Treu, adibendone le esposizioni a laboratori che siano cantieri ideativi aperti al contributo creativo della stessa cittadinanza. Odorico Bergamaschi