mercoledì 19 novembre 2014

sul mancato disarcionamento del sindaco di Mantova

13 ottobre 2014

Può andar bene, così, per la Gazzetta di Mantova?
Già quest’estate mi ero cimentato in una mia riscrittura mentale dell’Odissea in una Renzeide, provocatovi dall’autoproclamarsi un novello Telemaco ( di calco recalcatiano) del Matteo nazionale , allo scatto di un suo selfie di gruppo inserito sullo sfondo di quello della stessa Europa, quando ne assunse la Presidenza della Commissione. Solo che ne è sortita una trama a rovescio, alquanto breve da riassumere in sintesi: in luogo del fare tesoro di esperienze ed errori e valori del padre, propiziandone il ritorno, l'andata in scena della rottamazione anche del suo solo nome e della sua sola memoria, con ogni agguato e brutalità di sorta da parte del novello fasullo Telemaco e dei suoi servizievoli compagni di viaggio,-al successo del padre meno vittorioso del previsto, perpetrando, grazie alla dispersione della gloria di Ulisse, la spartizione della sua eredità con i Proci infestanti, riabilitati alla grande con il loro Papi della patria in testa, ed ora, che sono ancora più in auge, ben liberi di spadroneggiare sale alte e profonde di un palazzo trasformato nella reggia della loro prepotenza condivisa, Penelope, poveretta la Finocchiaro, a suo tempo già svillaneggiata dal figlioccio spurio, indotta a tessere e ritessere la tela con l’autore dello loro nequizie più brave, fiero padre di una Mer(di)na senatoriale dopo avere dato vita ad un Porcellum elettorale, per stare ai termini con i quali il genitore stesso ha ignominiosamente soprannominato i suoi figliastri traviati.
Poi il seguito del job act ha conferito un andamento tragico alla parodia in corso del poema omerico, per come in una Repubblica fondata sul lavoro si è carpita la fiducia assoluta , con il ricorso ad una delega in bianco, per togliere ai lavoratori diritti vitali senza che alcuna tutela sociale compensativa sia loro garantita. Ed ora a ripetermi in finzioni analoghe sono stato appena indotto dalle vicende fresche di cronaca del mancato disarcionamento del Sindaco di Mantova, Sodano, finendo tentato, dal loro decorso buffonesco, ad attagliare a quanto è successo il nostrano immortale Rigoletto: ma l’accaduto mi è parso di un tenore così infimo, che tra le parti maggiori ho trovato un equivalente omologo solo a Gilda, sequestrata e stuprata nelle tramutate spoglie  del leghista Simeoni, mentre per le parti destinate a delle mere comparse, il Marullo di corte mi è parso del tutto calzante con Longfils, all’apparenza franco di lingua e di pensiero, nei suoi gran bei marameo e birignao, in vero dedito ai più servili servigi, in tronfio sfregio, all’occorrenza, del suo dover essere “super partes”, mentre a Sodano ben si configuravano i panni di un nuovo signor di Ceprano, che per scornarsi delle vicendevoli  cornificazioni amministrative fino all’estremo vulnus, si è prestato di buon grado ad ogni ammoina e ad ogni vile buon viso condiscendente verso i prestatori di soccorso,   pur di restare senza più alcuna dignità istituzionale il primo cortigiano in lizza del Ducato.
Morale dell’ una e dell’altra favola, così è in Italia, anche se non ci pare e piace affatto,al tempo in cui per Grillo come per ambo i Matteo, il Salvini quanto il Renzi nazionale, costui in ottemperanza al Patto del Nazareno con il tramortito Berlusconi, eccezion fatta per i testimonial del Sel, che qui non sto per questo a glorificare, i rappresentanti del popolo hanno da essere dei nominati di Partito che devono rispondere solo alla ditta, secondo la voce del vero dal seno bersaniano fuggita, e non già a chi è affidato alle loro responsabilità dal mandato assunto, con l’esito di un dispregio sommo delle nostre istituzioni Da cui, in compenso, non è per questo finora sortita alcuna crescita o ripresa dell’economia e società nazionale.


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