domenica 18 ottobre 2015

Pietà ora per Gheddafi ( ottobre 2011)

  Al Comitato di redazione della Gazzetta di Mantova


 Si trasmette, con preghiera di pubblicazione

Pietà ora per Gheddafi

Che immensa sofferenza deve avere inflitto Gheddafi al popolo libico,  che liberazione  si è creduto che abbia significato la sua fine, se  nessuna  forma di pietà ha inibito il giubilo  del  suo  popolo festante, alla diffusione senza ritegno delle scene della sua fine tremenda, in  cui non più dittatore sanguinario ma inerme vittima sanguinante, appare suppliziato, oltraggiato,  messo a morte ed esposto al ludibrio esultante degli insorti gioiosi assiepatigli intorno, animati dalla stessa ferocia già da lui riservata alle sue vittime. “ Wow”,  se ne  è compiaciuta  Hilary Clinton. E  mentre le segreterie europee d’oltralpe hanno accolto in  silenzio l’esecuzione orrenda, propiziata dai bombardamenti delle loro aviazioni,  in cui è finito massacrato lo  stesso Rais che  avevano accolto con tutti gli onori  solo un anno prima di muovergli guerra, il nostro premier non ha mancato l’occasione per essere e dire l’opposto di quello che avrebbe dovuto  essere e dire nei riguardi di Gheddafi:  come  è accaduto non più tardi  dell’altra estate , quando si è prosternato nel baciamano di chi  era sceso in Italia  per insultare una seconda volta al suo cospetto le nostre istituzioni e tradizioni, o allorché  ha manifestato pietà per il Rais nelle circostanze in  cui  avrebbe dovuto esprimere sdegno per la sua volontà di infuriare sulla ribelle Bengasi, ora  in  luogo della pietà riservando il proprio cinismo alla fine miserabile e atroce di chi aveva folleggiato d’essere il re dei re  d’Africa e l’aveva reputato suo amico,   un assassinio che ha liquidato con  il gelido ricorso alla stessa formula liturgica, “ sic transit gloria mundi”, che celebra in latino le incoronazioni dei pontefici. Superato in questo solo dai suoi accoliti di governo. Certo, così passa la gloria del mondo,  basta  soltanto, dopo che si è atteso la scomparsa del  messaggio promozionale, per assistere all’ulteriore ripresa del massacro del Rais, voltar pagina, aprire un nuovo capitolo di storia,  come richiede l’assuefazione alla realpolitik  planetaria.

Odorico Bergamaschi insegnante
Piazza d’Arco 6f
0376 360396


Ai tempi del governo Monti ( dicembre 2r011)

“Shocking times “, “Tempi scioccanti,…”, “ sto dimenticando canto dopo canto, e la mia voce i lupi l’hanno strozzata”, “…Vox quoque Moerin/ iam fugit ipsa: lupi Moerin videre priores”. Cito Virgilio ( Egloga nona), e Seamus Heaney, il grande poeta irlandese nostro concittadino onorario, suo traduttore, perchè veramente ho perso la mia voce a causa dei lupi della crisi che ci stanno divorando od al cui agguato stiamo sfuggendo. E in Dio il mio respiro cerca l' inalatore. di vita. Lo stesso Dio che dovrei amare ugualmente, se …
Ma  una cosa tento di dire comunque, che è il solo contributo non  lacrimevole che so dare alla sofferenza di chi socialmente si sta massacrando per evitare la catastrofe:
Non dimentichiamoci perchè si è arrivati alla manovra economica sanguinaria del governo Monti, le ragioni per le quali questo esecutivo non può evitarcela, non dimentichiamoci che chi ora  specula su di essa politicamente è chi a suo tempo a Romano Prodi, dentro la sua maggioranza, ha impedito la sua opera di governo risanatrice, oppure è chi, innominabile, e nefasto, gli è subentrato al vertice facendo precipitare le cose a tal punto, e se questo governo non modifica la realtà devastante dei suoi provvedimenti, consideriamo quanto ciò dipenda dalla sua eventuale pochezza, e quanto dipenda invece  dalla volontà di certe  forze politiche di cui  gli serve il voto, altrimenti ...  
(Post scriptum: Ci si ricordi che quei predatori di lacrime e sangue che sarebbero stati a loro tempo Vincenzo Visco,  Cesare Damiano  ed il compianto Padoa Schioppa, avevano  modulato  in termini più graduali le quote pensionistiche che sono state abolite di schianto, tolto l’Ici  sulla prima casa che ora  grava appesantita su tutte,  varato la tracciabilità dei pagamenti che si è dovuta reintrodurre, sia pure alla soglia indecorosamente sopraelevata di mille euro,  ricavato un tesoretto dalle misure anti-evasione che furono subito cancellate da chi è sopraggiunto, dilapidando l’avanzo di bilancio di 60 miliardi  che ci avevano garantito …).
Odorico Bergamaschi
Insegnante
Mantova piazza d’Arco 6
0376 360396

 

Infelicissimi i tempi ( apparso sulla Gazzetta di Mantova del 2* agosto 2013 )

Infelicissimi i tempi di miseria dello spirito, più ancora che delle proprie tasche, in cui non resta da scegliere che tra un grande comunicatore e l’altro, detto altrimenti, per venire al sodo, tra un Berlusconi, un Grillo, od un Matteo Renzi, perchè solo al loro amo abbocca l’elettore liquido e smagato. Chi poi sia in effetti un grande comunicatore, lo rivela benissimo il filosofo drammaturgo cattolico Fabrice Hadjadj: “ E se comunichi in maniera da ottenere un risultato automatico ( la folla si precipita in delirio verso il tuo negozio), allora sei un grande comunicatore, perchè sei riuscito ad abbassare l’uomo a livello della bestia”.
Onore dunque al merito di quegli affabulatori scarsi, perché inceppati dalla loro nobiltà, che sono Romano Prodi e Pier Luigi Bersani, onore dunque al merito dei democratici come il nostro Dimitri Melli, quando nell’assoluto disincanto, e in ragione di ciò che con torsione del proprio orgoglio costa loro dolorosamente riconoscere, accettano l’obbrobrio minore per evitare le calamità più nefaste, ed investono come candidato alla premiership un Matteo Renzi, pur sapendo quale ne sia la profondità o lo spessore, perchè non può candidarsi alla segreteria di un partito democratico e rivelare anticipatamente la sua vera idea d’Italia. Ed allo stesso tempo, ripulsa e sgomento, per chi, come Fabrizio Sgarbossa, segretario di circolo del Pd di Castelbelforte, nella sua accoglienza tronfia e mortificante della dichiarazione di adesione alla leadership di Renzi del sindaco di Pegognaga, in cui si è profuso sulla Gazzetta di Mantova di Venerdì 23 agosto, rivela quale boria vuota, spietata e accecata, possa significare nel suo caso l’essere renziani.
Come per tutti gli avanguardisti, per costui solo quelli della prima ora sono credibili e degni di stima, e solo l’opportunismo può avere motivato gli altri sovraggiunti, se solo in un secondo tempo si sono arresi alle ragioni irresistibili del capo, folgorati sulla via di Firenze dal Gesù di Rignano d’Arno...E buon pro per loro, che comunque finalmente abbiano capito, che possano essere accomodati anch’essi nel comitato elettorale, perché per gli altri, regalando un bel sorriso...
Peccato che quando poi, per incrementare gli adepti, Sgarbossa cerca di dare voce al suo credo nel verbo di Renzi, di dirci a più riprese il perché di tanto suo entusiasmo in colui riposto, di comunicarci quale seduzione su di lui Renzi abbia esercitato fin dalla prima ora, egli faccia l’esaltazione dell’assenza di qualsiasi contenuto, non esprima che l’adesione alla sola formulazione di un format.
Un contenitore in cui “ad maiorem gloriam” dell’uomo solo al comando, possono rientrare tanto Briatore che i partigiani quanto il pensionamento del pregiudicato, sempre che sappiano “metterci la faccia”...
Rivelandoci, Sgarbossa, che come diceva il grande teologo Dietrich Bonhoeffer, dietro ad ogni rimettersi in tutto e per tutto a quello che ne sa un capo, più di noi, c’è la rinuncia alla propria autonomia di giudizio che caratterizza la natura spaventevole e sconfortante di ogni stupidità di massa, quale che sia il quoziente intellettivo dei singoli adepti.


giovedì 17 settembre 2015

Una versione antecedente della seconda lettera alla Gazzetta di Mn sul fonte battesimale in Sant'Andrea

Credo che nel suo intervento apparso sulla Gazzetta di Mantova del 2 settembre , Gabriele Gabrieli abbia ben illuminato il senso reale della questione della vasca battesimale da collocare in Sant’Andrea, per il tramite della sua rievocazione dell’essenziale di ciò che ebbe a dire l’Abbè Pierre all’inaugurazione della basilica di Saint-Joseph a Montreal , quando sostenne che onorare Dio è piuttosto riparare catapecchie che rendere monumentali le chiese, oltre i quattro muri e i tetti che bastano, e che più che lo stesso rito eucaristico valgono le opere di misericordia. E’ una prassi spirituale propria delle fedi del nostro tempo, - di cui premetto che non condivido il pauperismo architettonico, se non per quanto attiene ogni chiesa futura, - che con le parole del teologo Ramon Panikkar può definirsi la secolarizzazione del sacro, in quanto estende l’esercizio della fede e della stessa vita sacramentale oltre le mura dei luoghi di culto e l’ambito delle liturgie che in esse si esercitano, per farsi, i fedeli, cooperatori del divino grazie alla glorificazione della realtà di ogni giorno con opere di bene In tal senso mi chiedevo su queste colonne già ai tempi del sisma delle nostre Basse, se la nostra Curia sarebbe riuscita a spezzare il pane e versare il vino sugli altari come sui tavoli domestici e di lavoro, a pregare attraverso la preghiera come attraverso il dispendio di forza lavoro e d’amore solidale, evitando di curarsi delle anime che stavano nelle chiese più di quelle rimaste impaurite nelle tende o che erano già al lavoro nei campi, più delle macerie dei propri luoghi di culto che di quelle di capannoni e fienili e case.

In tal senso è altresì ben chiaro ora che cosa sia venuto significando la vasca battesimale in Sant’Andrea e perché abbia sollevato tale scompiglio nella fede esplicita od implicita di tanti nostri concittadini, e ce lo aiuta a comprendere meglio l’altro pregevolissimo articolo, in materia, apparso lo stesso giorno sulla Gazzetta grazie a Carlo Prandi, Vi si rammenta come sull’argomento non si sia più levata alcuna voce della Commissione diocesana per i beni diocesani ecclesiastici, dopo il documento emesso il 6 agosto scorso, e di tale silenzio cui la Curia si è attenuta, in luogo di un dibattito reale, si asserisce che è l’attestazione che il vescovado ha riservato il potere reale di decidere al solo personale addetto al sacro in separata sede curiale rispetto ai fedeli, una separazione in separata sede, che è lo statuto della Chiesa che meglio le consente di imporre urbe et orbi ( la valenza della sacralità del)le proprie ragioni dogmatiche e liturgiche, operando in un verso ed un senso che sono esattamente l’opposto dell’incarnarsi nel mondo per umanizzarlo quali semplici uomini tra gli uomini, resi però tali dalla sequela di Cristo, della secolarizzazione del sacro che ho evocato . Se la Curia si è invece ancor più irrigidita, cosi, nella ecclesializzazione clericale del sacro, che spesso si rivela la facilitazione più intrigante della sacralizzazione dell empio , non ci si facciano beate illusioni su quanto può riservare la sua immissione in internet che ora sbandiera: l’ incontro con il mondo sarà infatti solo un incontro con il pubblico per spiegare l immodificabilità dogmatica delle decisioni e degli orientamenti già assunti, in nome di superiori questioni pastorali che non è ancora dato di sapere.
Ma nell’attesa di conoscere quali siano tali superiori questioni, può darci qualche ragguaglio il documento delle comunicazioni diocesane  6 agosto, apparso sulla Gazzetta, da cui si desume che come già ben prefiguravo nel mio precedente intervento, i catecumeni per il quale si intende approntare la vasca battesimale in Sant’Andrea sono i convertiti di altre religioni, ( " Serve per inserire nella Comunità cristiana individui provenienti da altre religioni, soprattutto il sabato santo"), che in Sant’Andrea si vorrebbe che ricevessero il battesimo, perché li si svolge- e perché mai non altrove?- la Veglia Pasquale, e lì il corteo battesimale lo si potrebbe far passare sotto gli affreschi dell incontro sublime di Gesù con la Samaritana, che appunto il battesimo confessionale prefigurerebbe, a esaltazione del suo senso spirituale.( " La persona poi riceve lo Spirito Santo con il battesimo e si incammina verso l'altare, che simboleggia l eucarestia, passando sotto agli affreschi raffiguranti il battesimo di Gesù e l incontro con la Samaritana, posizionati sui due pilastri di sostegno della cupola tra i quali dovrebbe essere collocata la vasca".)
In realtà la celebrazione in tal senso del battesimo di conversione farebbe della stessa sua somministrazione sacramentale la premessa al  passaggio, sotto la scena dell episodi,o della messa in atto dello stravolgimento del suo senso spirituale...
Credere infatti che l’acqua viva che Gesù ha da dare alla Samaritana come a ciascuno di noi, e che in chi la beve si rivelerà “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna», sia quella battesimale di una fede confessionale autentica che ci purga da un'altra ripudiata come falsa, significa esattamente secondo il passo cruciale dell episodio evangelico che si è ancora di coloro per i quali non è ancora giunto il momento in cui né sul monte Garizim dei Samaritani né nella Gerusalemme ebraica sarà adorato il Padre, in un luogo di culto di una fede ad esclusione di ogni altra, che non si è ancora i veri adoratori che egli cerca, coloro che adoreranno il Padre per quello che è, non altrimenti che in spirito e verità, senza che sia più indispensabile per questo un particolare luogo del sacro , od un determinato rito liturgico o sacramentale.”! Perché Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in Spirito e Verità”, semplicemente e assolutamente.


Ma ancor più, ciò che seguita a lasciarmi esterrefatto in tale perseveranza di intenti battesimali in Sant’Andrea di catecumeni convertitisi, e’ l’avventatezza, che finora in nessuno degli interventi si è palesata, della pervicacia di voler celebrare con la massima risonanza mediatica il trionfalismo di un evento che conclamando l’avvenuta conversione al cristianesimo di un islamico, un hindu, o un sikh, solo per fare alcuni esempi concreti, presso le Comunità religiose d’origine del catecumeno è la proclamazione aperta di un’avvenuta Apostasia di cui l’ apostata si glorifica per giunta,

una colpa gravissima per l islam, che può costare  una condanna a morte, o una sorta di scomunica.inappellabile, che vita natural durante negherà al battezzato di potere avere di nuovo qualsiasi contatto con familiari e conoscenti della sua comunità originaria , né c’è da illudersi che presso Comunità quali quella dei sikh egli possa poi fare certamente rientro in seno alla sua stessa famiglia. Detto altrimenti, c’e da temere per il battezzato, anche in contesti religiosi non islamici, che nessuno voglia o possa più avere niente a che fare con lui del suo mondo d’origine. A questi “ inconvenienti”, chiedo, ci hanno forse mai pensato almeno una volta i proponenti della istituzione del rito battesimale dei catecumeni in Santì’Andrea?

Sempre sul fonte battesimale in Sant'Andrea




E' ben lungi dal vero la nostra Diocesi, se  pensa che la questione emersa quanto al  fonte battesimale in San Andrea, resti quella dei suo costi e della sua disarmonia intrusiva, non spiegandosi pertanto tale e tanta levata di scudi.  Ci si chiede ora infatti, nelle voci di protesta,  se per la nostra Curia Vescovile  il popolo di Dio  sia l'intera umanità, di noi tutti quanti,  per cui  Sant'Andrea, quale suo luogo di culto, teologicamente, prima ancora che per volontà dell'Unesco, è  patrimonio appieno dell'umanità intera, o se per il nostro Vescovado, a quanto pare,  si  abbia dignità di figli del Padre,  che egli intende portare salvezza, solamente se si è  cattolico apostolico romani , e come tali allineati  alle disposizioni del  proprio Vescovo, prima ancora che obbedienti a ciò che detta  lo Spirito nella propria coscienza. Se è così  va di per sé che  la casa del Padre, quando  consiste nelle sue Chiese, sia dei cristiani quali soli suoi  figli, mentre ogni altra persona che le frequenti o visiti  ne è al più un ospite, e che i luoghi di culto, come nel caso di Sant'Andrea, siano geloso patrimonio della sola Curia, di cui   assolutisticamente può disporre come meglio crede, secondo quanto  pensa  lo stesso sovrintendente Stolfi  Ed ecco dunque, che nel nostro caso,  per celebrare, ( trionfalisticamente?),  la conversione battesimale di chi non è altrimenti che un infedele , secondo gli intenti  svelati dalle comunicazioni diocesane alla Gazzetta del 6 agosto scorso, ( " Serve per inserire nella Comunità cristiana individui provenienti da altre religioni, soprattutto il sabato santo"), si elude con un silenzio imperterrito la volontà degli stessi cattolici propri fedeli, i quali  non sono mai stati chiamati di fatto in causa per discuterne, e diventa bene che decida l'imperio vescovile,  passando  al di sopra di tutto,  sopra il rispetto dello spirito con cui è stata ideato da Leon Battista Alberti il Sant’Andrea, che resta Basilica”d’autore” a tutti gli effetti, nonostante le modificazioni plurisecolari che l’hanno assurta a concattedrale, sopra il  riguardo per la nostra sensibilità di moderni e post moderni, che ad esempio troviamo insostenibili i criteri, d’altri tempi, che  fecero affrescare disgraziatamente Sant’Andrea nel Settecento, e cosa più grave di tutte, si resta incuranti, e nemmeno ci si pone il problema, di quale sia la valenza che avrebbe presso altre fedi e credenze, non meno radicate di quella cattolica, la conclamazione solenne con un battesimo in Sant'Andrea durante una veglia pasquale, di una risonanza mediatica pari alla grandiosità delle volte, della conversione al cattolicesimo di un proprio ex correligionario, che è clamorosa apostasia per l’islam, passibile della stessa condanna a morte, per i sikh una rottura che ingenera l' esclusione di chi l’ha praticata da ogni relazione nel proprio mondo comunitario d’origine, tanto per rifarmi alle due comunità religiose non cristiane,  di altri figli di Dio, più presenti nel territorio. E quanto allo spirito precipuamente cristiano dell’opera , due note terminali. 1) Il Vangelo non invita forse, architettonicamente, a versare vino nuovo in otri nuovi? 2) E sono così sicuri coloro che vorrebbero la cerimonia battesimale in Sant’Andrea per farla decorrere sotto gli affreschi dell’acqua di vita eterna che reca Gesù alla Samaritana, di non prendere una  svista solenne quanto al sublime messaggio dell'episodio evangelico? Credere infatti che l’acqua viva che Gesù ha da dare alla Samaritana come a ciascuno di noi, la quale in chi la beve si rivelerà “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna», sia quella battesimale di una fede confessionale autentica che ci purga da un'altra ripudiata come falsa, significa esattamente, secondo le parole inequivocabili di Gesù, che si è tuttora di coloro per i quali non è ancora giunto il momento in cui  il Padre sarà adorato né sul monte Garizim dei Samaritani né nella Gerusalemme ebraica, che si è ancora di quanti sanno pregarlo solo in una sede specifica di uno specifico culto, ad esclusione e a disdegno di ogni altro, ossia che non si è ancora i veri adoratori che egli cerca, coloro cioè che adoreranno il Padre per quello che è,  in spirito e verità, senza che sia più indispensabile per questo un particolare sito del sacro, od un determinato rito liturgico o sacramentale.” Perché Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in Spirito e Verità”, semplicemente e assolutamente.

Odorico Bergamaschi, ex insegnante ora in quiescenza







Quanto al dibattito sul fonte battesimale in Sant’Andrea, assurto ora agli onori della cronaca nazionale, e' ben lungi dal vero la Diocesi di Mantova, se come si desume da un suo comunicato per opera di don Giampaolo Ferri, portavoce del Vescovo Roberto Busti, pensa che siano in questione il solo fonte e i soli suoi costi, non spiegandosi pertanto tale e tanta levata di scudi. Più radicalmente è in questione,  infatti,  per tutti coloro che sono delle menti pensanti interessate al problema, chi sia per la nostra Curia Vescovile  il popolo di Dio, cui prestare ascolto ed  accoglienza, come con esso la Curia intenda rapportarsi ed esercitare la sua autorità , e che cosa intenda per casa di Dio e come intenda disporne, quando essa consiste in una sua chiesa . Ora c'è chi crede, come lo stesso Pontefice, Papa Francesco, che  sia popolo di  Dio l' intera umanità , e  sua vera casa  l' universo intero, per cui Sant’Andrea quale suo luogo di culto, come per me i templi hindu e le moschee o tombe islamiche che tento amorosamente di salvare in India dall' incuria dell’oblio e dal vilipendio turistico, sono teologicamente, prima ancora che per volontà dell'Unesco, patrimonio appieno dell'umanità intera, che ha per questo piena voce in capitolo. Per la Curia di Mantova sembra invece che si abbia dignità di figli del Padre,  e che egli intenda portarci a salvezza, solamente se si è cristiani , e come tali obbedienti senza battere ciglio alle disposizioni del  proprio Vescovo, prima ancora che a ciò che detta  lo Spirito nella propria coscienza.  I siti ecclesiastici di sua pertinenza possono dunque dirsi la casa del Padre solo per i suoi figli cristiani, mentre ogni altra persona che li frequenti o visiti ne è al più un ospite, ed è per questa visione che i luoghi di culto, come nel caso di Sant Andrea, , li viene custodendo come un geloso patrimonio della sola Curia, di cui disporre come meglio crede. Illudendosi di non essere un alfiere del gioco, così pensa che stiano le cose anche il Sovrintendente Stolfi,  quando attribuisce al Vescovo assolutisticamente, all'interno della sua Chiesa,  " pieno titolo, e primaria responsabilità, di stabilire per la chiesa concattedrale in merito alle esigenze di culto", sulla cui natura liturgica  tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito,  io incluso,  a diverso titolo  in realtà  hanno contestato solo che imponga, quanto al battesimo di ipotetici catecumeni adulti, che debba svolgersi  necessariamente in Sant'Andrea, con quel che ne consegue. Ed ecco dunque, che nel caso in questione,  per celebrare, ( trionfalisticamente?),  la conversione battesimale di chi non è altrimenti che un infedele , secondo le intenzioni reali dell'opera che svelano le comunicazioni diocesane alla Gazzetta del 6 agosto scorso, ( " Serve per inserire nella Comunità cristiana individui provenienti da altre religioni, soprattutto il sabato santo"), si elude con un silenzio imperterrito la volontà degli stessi cattolici propri fedeli, i quali   non sono mai stati chiamati di fatto  in causa per discuterne, e diventa bene che si  decida d'imperio vescovile ,  passando  al di sopra di tutto,  sopra il rispetto dello spirito con cui è stata ideata da Leon Battista Alberti la chiesa di Sant’Andrea, che resta Basilica”d’autore” a tutti gli effetti, nonostante le modificazioni plurisecolari, di un anonimato collettivo e e d'altre " firme", che l’hanno assurta a con cattedrale, sopra il  riguardo per la nostra sensibilità di moderni e post moderni, che troviamo insostenibili i criteri, d’altri tempi, che  ad esempio  fecero affrescare disgraziatamente Sant’Andrea nel Settecento, e cosa più grave di tutte, si resta incuranti, e nemmeno ci si pone il problema, di quale sia la valenza che avrebbe presso altre fedi e credenze, non meno radicate di quella cattolica, la conclamazione solenne con un battesimo in Sant'Andrea durante una veglia pasquale, di una risonanza mediatica pari alla grandiosità delle volte, della conversione al cattolicesimo di un proprio ex correligionario, che è clamorosa apostasia per l’islam, passibile della stessa condanna a morte, per i sikh una rottura che ingenera l' esclusione di chi l’ha praticata da ogni relazione nel proprio mondo comunitario d’origine, tanto per rifarmi alle dolo due comunità religiose non cristiane più presenti nel territorio.
E quanto allo spirito precipuamente cristiano dell’opera , due note terminali.
Il Vangelo non invita, architettonicamente, a versare vino nuovo in otri nuovi?
E sono così sicuri coloro che vorrebbero la cerimonia battesimale in Sant’Andrea per farla decorrere sotto gli affreschi dell’acqua di vita eterna che reca Gesù alla Samaritana, di non prendere una  svista solenne quanto al sublime messaggio evangelico dell'episodio?

Credere infatti che l’acqua viva che Gesù ha da dare alla Samaritana come a ciascuno di noi, che in chi la beve si rivelerà “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna», sia quella battesimale di una fede confessionale autentica che ci purga da un'altra ripudiata come falsa, significa esattamente, secondo i detti inequivocabili di Gesù, che si è tuttora di coloro per i quali non è ancora giunto il momento in cui né sul monte Garizim dei Samaritani né nella Gerusalemme ebraica sarà adorato il Padre, che si è ancora di quanti sanno pregarlo solo in una sede specifica di uno specifico culto, ad esclusione e a disdegno di ogni altro, ossia che non si è ancora i veri adoratori che egli cerca, coloro cioè che adoreranno il Padre per quello che è,  in spirito e verità, senza che sia più indispensabile per questo un particolare sito del sacro, od un determinato rito liturgico o sacramentale.” Perché Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in Spirito e Verità”, semplicemente e assolutamente.

martedì 11 agosto 2015

Lettere alla Gazzetta Vincenzo I il nefasto al potere 16 06 2012

Caro Vito Mancuso,
sono un ex insegnante di Materie Letterarie di Mantova ritiratosi in pensione, ora diviso tra l'italia e lIndia dove vive la mia amata famiglia di adozione.. Le scrivo per trasmetterle il file allegato di un intervento che ho trasmesso alla locale Gazzetta, che verte su una mostra su Vincenzo I  Gonzaga che a mio giudizio non s'aveva assolutamente da fare nel museo Diocesano, per ragioni che ora non le rivelo ma che sono sicuro (che) la coinvolgeranno-
Nel mio blog potrebbe ugualmente essere per lei del più vivo interesse il dibattito che è intercorso tra me ed il mio amico Valentino Giacomin. cofondatore in India delle scuole del Progetto Alice,  sulla divergenza sull'amore del prossimo che è intercorsa tra Madre Teresa di Calcutta e Raimon Panikkar.
Ricercandomi in Facebook, nel mio diario può ritrovare l'articolo sulla mostra nefasta.
In rete, indicando  7 ebrei Vincenzo I, può ritrovare un bell' articolo, non mio, apparso su La voce di mantova il 18 dicembre 2011, che amplifica la conoscenza storica del contenuto del mio intervento polemico sull'infausto evento diocesano ( empio è la qualificazione corretta)
Auguri immensi per la sua ricerca autentica.
Odorico Bergamaschi
 
 10 di giugno presso il Museo Diocesano di Mantova ha felicemente chiuso i battenti la mostra su Vincenzo I, Il fasto al potere, “ felicemente” è davvero il caso di dire, come quando si pone fine ad uno scandalo. Che di scandalo si tratta, secondo dei criteri cristiani di discernimento, quando un Museo Diocesano rende l’omaggio di una mostra ad un personaggio storico siffatto, celebrandolo nella sua immoralità spietata e succube come “ splendidissimo duca”, “ ammantato di sacralità”, in tutto “ il fasto di un principe dispiegato nella magnificenza dell’oro”. Si sorvoli pure sulla sua leggerezza omicida che pose fine all’esistenza terrena di Lord Crichton, sulle “spavalde scorribande …della sua prorompente vitalità”, né sarò io a scagliare la prima pietra sui suoi eccessi sessuali, talmente il Serenissimo può risultare in virtù di essi ancora più simpatico agli stessi chierici curiali, “ così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano”, ma ciò che non taccio è la grazia di cui sovrabbondarono le sue vittime più strazianti, in virtù di quanto egli ha provvidenzialmente peccato, come con una misericordiosità dalle risonanze blasfeme si è compiaciuto di giustificarlo il conservatore del Museo Diocesano.
Mi riferisco innanzi tutto a Jonadith Fraschetta, ebrea di 77 anni, che il giorno 22 aprile 1600- quando Vincenzo I era nella pienezza dei suoi poteri sovrani e delle sue facoltà mentali- sulla piazza del Duomo di Mantova fu bruciata viva per essere stata “ Striga, over per avere magliato molte persone in vita sua et specialmente una monaca dell’ordine di S. Vincenzo in Mantova la quale di già era ebrea e poi fatta cristiana.”, come riferisce la cronaca manoscritta di certo G.B. Virgilio, fattore rurale dei Gonzaga.
Al quale spettacolo- riporta Antonino Bortolotti, colui che ritrovò la cronaca negli Archivi di Mantova, e che nel 1891 presso la Tipografia delle Mantellate la rese pubblica in “ Martiri del libero pensiero”, - furono presenti il Duca, ”- ossia il nostro Vincenzo I, per l’appunto-, “e la Duchessa di Mantova, Margherita duchessa di Ferrara e Anna Caterina arciduchessa d’Austria, venuta da Inspruk, oltre una straordinaria folla di curiosi”. “La qual Jonadith ebrea- seguita la cronaca originaria- legata con molte funi in piedi ad una colonna di legno sopra una gran quantità di legne, alle quali dopo di esser stato dato fuogo da tre ebrei che la confortavano, duvi ( due) se ne fuggirono et il terzo qual era vecchio et tanto intento al suo ufficio fu quasi per restar con essa lei nelle fiamme…Nel qual mentre si bruciò le funi colle quali aveva legato le mani; et con la mano destra si faceva difesa dal fogo alla faccia soffiando anco colla bocca, ma poco gli valse perché incontinente se ne caddi nelle fiamme et così finì la sua vita”
A tale crimine fece seguito una grida del 1603, con la quale Vincenzo I invitava ogni uomo del Mantovano e del Monferrato alla denuncia di persone che “ con malìe, stregonerie, incanti …e in altro modo malvagio o arte diabolicaprovocavano danni frequenti ed atroci, promettendo non solo che il nome dell’accusatore non sarebbe stato rivelato, ma che a colui che avesse fornito delle prove, tali da garantire almeno la tortura dell’imputato, sarebbe stato concesso il riscatto dal bando capitale o da altre eventuali pene cui fosse stato condannato, oppure che ci avrebbe guadagnato del denaro.
E’ una sovrabbondanza di grazia che può risultare oltremodo eccessiva pure per le anime più arrese all’amabilità del “serenissimo” duca, se si rammemorano anche i sette ebrei che l’anno prima, agli inizi d’agosto del 1602, colpevoli di null’altro che di essersi fatti beffe del fanatismo predicatorio antigiudaico del frate francescano Bartolomeo Cambi, ci rimisero la vita, per permissione del duca, perché furono” appiccati tutti ad un’alta forca coi piedi in suso, e con le berrette gialle… con questa inscrittione in lettere maiuscole. “ Per haver schernita in derisione della Religione Christiana la parola di Dio”.
Lo stesso Vincenzo nel riguardo degli ebrei non seppe poi far di meglio che differire di rinchiuderli nel ghetto fino al 1610.
Ora non mi si dica, a tal punto, che copre i suoi peccati la grandissima fede dell’uomo Vincenzo, dopo che nel catalogo della Mostra essa è stata degradata a “manifestazione vistosa ma incoerente e superficiale”. Forse occorre davvero accreditare ciò che lasciavano balenare ori e splendori in esposizione, e rifarsi alla “magnifica liberalità, “ pari a quella “ di un re”, che “guidava” Vincenzo I a favorire sfarzosamente la nostra Chiesa, ispirandogli l’istituzione d’ordini religiosi come quello del “ Redentore o del Preziosissimo Lateral Sangue di Cristo”, o sollecitandolo ad essere così munifico di cripte e di reliquari splendidi nei suoi riguardi, per spiegare il rendimento di grazie e l’indulgenza, pressoché plenaria, concessi ad un duca siffatto da una mostra così improponibile in un Museo Diocesano.
Odorico Bergamaschi,
ex insegnante,
Piazza d’Arco 6/f Mantova
0376360396

Lettere alla Gazzetta 28 agosto 2014

Cordiali redattori,
Vi trasmetto il seguente intervento, di cui allego una copia, auspicandone la pubblicazione


Più volte sono stato in Siria, l’ultima nel 2005, per un rivisitazione fuggevole delle sue 
più splendide città morte romano-bizantine,- El Bahra, Sergilla, Jeradeh-, prima che da 
Aleppo, Damasco, via Karachi, la mia vita assumesse la destinazione dell’India. Ed alla luce 
della mia esperienza incontroversa, parlandone fugacemente con lo scrittore di viaggi William 
Darlymple, ad un festivaletteratura, a suo tempo ho avuto modo di condividerne 
l’impressione, in entrambi commossa, di quanto il suo popolo fosse generoso ed ospitale.
“L'uomo- scrivevo di un siriano che mi soccorse per strada, nel racconto di una mia escursione 
in Bamuqqa e Baqira- con l'acqua che gli avevo chiesto, mi ha offerto ogni possibilità di 
conforto di cui ha avvertito il sollievo che poteva recarmi, ogni bene frugale di cui 
disponeva: dei guanciali sui quali mi ha disposto verso il vento, l'hawa, che proveniva da una 
finestra schermata, del the che ha fatto portare via dal fratellino della moglie, per del 
pane e del miele, ancora dell' acqua e dell' airan di latte di capra, a quanto mi ha fatto 
intendere con il gesto di mungere, quando è rientrato per vedere se traevo ristoro”
E dal fondo della memoria riaffiorano ragazzi in motocicletta, uomini in auto solleciti, 
un’anziana coppia di allevatori di polli, che mi diedero tutti quanti un passaggio rifiutando 
l’obolo, mentre mi rivedo ancora, a notte fonda, lungo la strada del ritorno ad Aleppo da 
Hama ed Homs in autostop, senza timore o rischi di sorta, per tacere dei più toccanti 
incontri personali.

E’ questa la ragione per la quale gli esiti della rivoluzione siriana mi hanno lasciato 
sgomento, per quanto la rivoluzione e la guerra civile hanno fatto dei siriani un popolo 
demoniaco, stando anche solo ai resoconti di Domenico Quirico, quale inviato de La Stampa, 
che in Siria è stato catturato e trattenuto prigioniero per mesi prima della liberazione. 
Penso in particolare a Raqqa, in tal senso, divenuta la roccaforte in cui l’Isis consuma gli 
orrori più mostruosi, esecuzioni in massa periodiche, crocifissioni e decapitazioni, ed i 
genitori jihadisti scattano foto ai loro bimbi con in mano teste mozzate.
Fu la città in cui ebbi un incontro con il grande scrittore Ugiayli, che vi viveva in 
opposizione solitaria al regime, e dove sostai per recarmi a visitare le vicine splendide 
rovine di Rusafa.
Rileggo le scarne note di viaggio che concernono la mia permanenza in Raqqa , e più che la 
rievocazione dei monumenti, gravidi della memoria storica del grande sultano Harun Al- 
Rushid, vi ritrovo l'immagine di un bambino, con la testa ustionata, che vi giocava e vi 
viveva nel pattume, di altri piccoli che trascinavano frasche, sollevavano al cielo aquiloni 
radenti.
“Sempre più, pressoché dappertutto, lo sciacallo, -( Assad padre)-, qui appare in effige, 
anche sopra le orbite vuote, nel suq dei macellai, delle teste ovine allineate. Ma che me ne 
importava, nella notte del mio arrivo a Raqqa , se al Rashid Restaurant quanto del pesce 
diliscato restava nel piatto, i due micetti mesopotamici se lo erano spartiti dalle mie 
mani”.
In aggiunta, scrissi il racconto del mio incontro con Ugiayli, dove mi diffondo 
preliminarmente su tutta la cortesia con la quale fui avviato alla sua casa da un farmacista, 
cui chiesi dello scrittore essendo questi innanzitutto un dottore, ben più conosciuto e 
beneamato dalla popolazione in quanto tale, e narro quindi il dettaglio di come, essendo io 
timoroso ed esitante, sul far della sera due ragazzi suonarono per me al campanello della sua 
porta.
Al resoconto del nostro dialogo, che avvenne in un caffé all'aperto dove egli volle che ci 
trasferissimo lasciando la sua magnifica casa, prelude l’espressione del mio stupore di come 
in Raqqa un uomo che era stato ministro della Cultura e dell’ Informazione, degli Esteri di 
un Paese talmente dispotico, vivesse solo e senza protezione,
“Dissi ad al 'Ugiayli che sono le Rinascite che mi avvincono, il loro rimpianto solare che 
volge a un crepuscolo ... ", a tali termini nelle mie note di viaggio si riduce l'estratto 
del racconto circostanziato del nostro dialogo, che mi dilungai a narrare in un testo a se 
stante.
E poco altro è in grado di riesumare la memoria, se non il ricordo di un' avvenente 
insegnante delle scuole primarie, magnificamente scarmigliata e abbigliata liberamente, che mi 
invitò ad entrare nel cortile della sua casa , al riparo del cui recinto si teneva una festa 
tra amici in cui rimpiango, per mia ritrosia, che non sia riuscito a loro di trattenermi più 
a lungo, ella felice, come tutti quanti gli astanti, di potere incontrarsi con un 
occidentale.

Ed infine, epilogo mesto, mi sovviene di come telefonai ad Ugiayli dalla stazione degli 
autobus, il giorno seguente, ed egli abbia lasciato precipitosamente cadere la linea, quando 
alla richiesta di rivederci allegai le mie mal riposte speranze nella pace che pareva allora 
imminente a schiudersi tra la Siria ed Israele, non appena feci il nome di tale entità 
contro la quale egli era stato un combattente agguerrito.

Odorico Bergamaschi
Ricercatore 

Piazza d’Arco 6/f MN
numero di telefono 0376 360396

3334215458

Lettere alla Gazzetta Versus gli antagonisti di piazza e di rete di Salvini 11 Novembre 2014

Mi spiace- solo relativamente- per gli antagonisti  di  piazza e di rete a Matteo Salvini che si sentono indotti ad attaccarlo insieme alla Lega con ogni forma di insulto inluogo della critica reale, magari ostentando la presunzione di superiorità di unrazzismo morale che seguita a denotare insopportabilmente il presunto essere disinistra, o scambiando la politica per  un cartoon adolescenziale e per un bullismo direte in cui vince chi fa cagare sotto il nemico, ma il fatto stesso che Salvinila Lega siano divenuti la loro ossessione esistenziale che li
induce al peggio di se stessi, è la prova più evidente di quanto Salvini si
stia dimostrando un politico capace e temibile oltre il prevedibile. Tale
riconoscimento non significa alcuna condivisione di orizzonti e di intenti di
Salvini, per lo più aberranti, ma è la presa di distanza che in luogo del
coinvolgimento finanche morboso risulta la condizione imprescindibile per
contro attaccarlo efficacemente, innanzitutto riconoscendo gli stati di
sofferenza e le paure e le criticità reali cui sa risalire, invece di disconoscerli per principio preso, magari palesando  propria quell’ignoranza razzistica che per
tali antagonisti consimili e mimetici costituirebbe sempre e solo l’anima nera
e l’ incultura degli altri. E’ la condotta esistenziale di un’indagine e di uno
studio interminabile delle ragioni degli altri, che a certi eterni  ragazzi e principianti della politica, cultori incalliti di ideologismi che al tempo della globalizzazione sono  divenuti la  nostalgia patologica reazionaria dei padri titanici del buon comunismo e dei buoni compagni di un tempo, a certi supponenti ed arroganti professionisti in rete dell’antidiscrimine, sfioriti i fasti dell’antiberlusconismo inossidabile, è quanto dovrebbe insegnare una rialfabetizzazione del tutto  personale alla politica  democratico-liberale,  che consenta di acquisirne i termini minimi imprerscindibili, il senso dei limite,  lo spirito discente della propria fallibilità fallimentare e dell’autocritica ironica, innanzitutto,   secondo  quanto è  vero di ogni terapia risolutiva.

Sulla questione del fonte battesimale in Sant'Andrea

Credo che la gran questione se il fonte battesimale s’ha o non s’ha da fare nella Concattedrale di Mantova, sia riducibile al quanto mai semplice interrogativo: “E se s’ha da fare, ma perché mai proprio in Sant’Andrea?” Il che induce a chiedere in sovrappiù: “Forse, che il battesimo è più battesimale se officiato in un luogo di culto ch’è artistico ed antico? Forse che vi è più sacramentale, forse che fa più passare dalla morte alla vita spirituale, se ad impartirvelo è l’Eccellenza consona di un Vescovo? Di sicuro vi è che alla bella faccia del codice canonico del 1983,  se in un Sant’Andrea il battesimo è somministrato in tutta la sua solennità preconciliare da un’ Eccellenza  Reverendissima ad un catecumeno adulto, che so, alla superba altezza di un altro Magdi Cristiano Allam,  nella maestà austera di una così augusta e fotogenica basilica, un così gran bel battesimo che sia  esibito nel suo transetto, e prima e poi protratto lungo l’intera navata,  può lusingare le aspettative che  nel nostro bel Sant’Andrea  si possa in tal modo celebrare in pompa magna, e per la sola vana gloria mondana,  magnificandolo da un nuovissimo ambone marmoreo intrusivo, uno di quei trionfi cui la Bella Immortal da un po’ di  tempo non è poi che sia così tanto avvezza, o che se ne bei, all’insegna di un “va mo là, laici islamofili”, che suona  oggi alquanto controcorrente rispetto agli stessi santissimi detti, dello stesso Papa Francesco, che “ Dio non  è cattolico”,  un asserto liberatorio finalmente espresso da un Santo Padre,   che fa il paio con quanto ebbe già a dire il Mahatma Gandhi, quanto al fatto che di sicuro “ Dio non ha religione”. Prego, si abbia dunque un briciolo di fede nella reviviscenza del sacro e del bello anche in quanto è un tempio  moderno e vi è un rito non necessariamente officiato da Vescovi,  e si lasci Sant’Andrea ai fin troppi martoriamenti che la devozione ha già fatto subire nel tempo al gran monumento albertiano

lunedì 10 agosto 2015

Del fonte battesimale in Sant'Andrea

La gran questione attuale mantovana
Credo che la gran questione se il fonte battesimale s’ha o non s’ha da fare nella Concattedrale di Mantova, sia riducibile al quanto mai semplice interrogativo: “Ma perché mai proprio in Sant’Andrea?”Il che induce a chiedere in sovrappiù: Forse, che il battesimo è più battesimale se officiato in un edificio artistico ed antico? Forse che vi è più sacramentale, forse che fa più passare dalla morte alla vita spirituale, se ad impartirvelo è l’Eccellenza consona di un Vescovo? Di sicuro vi è che alla bella faccia del codice canonico del 1983, se in un Sant’Andrea, patrimonio dell Unesco, il battesimo è somministrato in tutta la sua solennità preconciliare da un’ Eccellenza Reverendissima ad un catecumeno adulto, che so, alla superba altezza di un altro Magdi Cristiano Allam, nella maestà austera di una così augusta e fotogenica basilica, un così gran bel battesimo che sia esibito nel suo transetto, e prima e poi protratto lungo l’intera navata, può lusingare le aspettative che nel nostro bel Sant’Andrea si possa in tal modo celebrare in pompa magna, e per la vana gloria mondana, uno di quei trionfi cui la Bella Immortal da un po’ di tempo non è poi che sia più così tanto avvezza, o che se ne bei, all’insegna di un “va mo là laici islamofili”, che suona oggi alquanto controcorrente rispetto agli stessi santissimi detti, dello stesso Papa Francesco, che “ Dio non è cattolico”, un asserto liberatorio finalmente espresso da un Santo Padre, che fa il paio con quanto ebbe già a dire il Mahatma Gandhi, quanto al fatto che di sicuro “ Dio non ha religione”. Prego, si abbia dunque un briciolo di fede nella reviviscenza del sacro e del bello anche in quanto è un tempio moderno e vi è un rito non necessariamente officiato da Vescovi, e si lasci Sant’Andrea ai fin troppi martoriamenti che la devozione ha già fatto subire nel tempo al gran monumento albertiano.