Signor Direttore,
Nel corso degli ultimi mesi e delle vicende della grande crisi che hanno sconvolto molti dei nostri destini, la mia esperienza più emozionante di lettore delle missive che s’inoltrano ai quotidiani di Mantova è stata senz’altro quella che mi ha coinvolto nelle vicissitudini recenti di Stefano Gavioli. Mentr’io uscivo drammaticamente dall’insegnamento e mi addentravo in tutte le incertezze angoscianti del pensionamento, incalzato dallo stroncamento delle mie aspettative che le manovre economiche incombenti potevano determinare, mediante le sue cronache sulle colonne della Voce di Mantova ho ritrovato Stefano Gavioli addentro al tunnel di una variante del mio destino ancora più sconvolgente, a cinquant’anni e in mobilità, ridotto a quelle privazioni di vita, il freddo, il buio, l’uso della bicicletta, il risparmio, “sempre e solo risparmiare”, che per me da decenni sono tuttavia forme abituali di rinuncia, o di distacco, che pratico ben volentieri per consentirmi di vivere le scelte di vita che sono la mia vocazione in questi “global times. In tale duplice fuoriuscita, ho rinvenuto anch’egli alle prese con ricordi di mortificazioni umilianti, che per Stefano Gavioli sono rimasti ancora in sospeso, mentre per me sono un intero stadio della mia esistenza che ho rimosso od estirpato. Ma era tale lo spirito intrepido con cui rievocava la sua controfigura al bel tepore sotto le coperte, quand’erano già le tre di notte senza che fosse ancora riuscito a trovare il sonno, mentre in realtà era intento a scrivere, benissimo, i referti del suo vissuto emozionale che voleva far credere al lettore che non riuscisse ad esprimere sbloccandosi, era tale lo slancio in avanti della sua fede nella realtà, che non mi ha sorpreso, all’inizio del nuovo anno, constatare che non solo era caduto in piedi, “ landed on his feet”, com’era accaduto anche a me, a onore del vero, ma che sulla Voce aveva già l’aire di dire la sua allo stesso “caro Dio”, intimandogli di fare un passo indietro, come secondo gli stereotipi in uso nei notiziari, le piazze richiedono agli stessi dittatori arabi che non lasciano il potere. Più secolarmente si è poi concesso di invitare i cari dinosauri dell’estrema sinistra a rimanersene rintanati, a non scendere in piazza per cavalcare la protesta di un mondo rispetto ai cui cambiamenti sono rimasti remoti anni luce.
Ma non è tanto sul fatto che possa avere gettato il ferro a fondo disimpegnandosi a sinistra, quanto sul passo indietro che richiede a Dio, che m’interessa dire a Stefano Gavioli che cosa ne penso.
Ora, se c’è un ampio orizzonte d’intesa nella teologia cristiana contemporanea, esso è dato dallo spazio di libertà che fin dalla fondazione del mondo Dio ha concesso all’uomo e all’operare autonomo degli eventi naturali, adempiendo appunto a quel passo indietro che Stefano Gavioli gli chiede così perentoriamente di fare, da quando il settimo giorno è entrato mitologicamente nel riposo sabbatico.
Asserisce ad esempio la grandissima Simone Weil: “Per Dio la Creazione non è consistita nell’estendersi, quanto piuttosto nel ritirarsi. Egli ha cessato di “ comandare dappertutto, là dove n’aveva il potere”… Questo movimento è l’amore ( Quaderni III 96). “Dio non è onnipotente in quanto creatore. La creazione è un’abdicazione. Piuttosto, Egli è l’onnipotente nel senso che la sua abdicazione è volontaria”( Quaderni III, 152).
Appunto perché Dio ha compiuto da sempre questo passo indietro rispetto agli eventi del mondo, con la nostra libertà sono dati tutto il male e le sventure in cui essa si adempie, secondo la prospettiva umana delle vicende cosmiche.
E’ in tal senso che l’uomo è ad immagine di Dio nella sua vocazione ad amare, ma nella sua realtà vivente per lo più è tutt’altro che buono e a Sua somiglianza. Tanto più se è un uomo particolarmente “religioso”, come quelli che misero a morte Gesù, - che tra l’altro, come Buddha non era affatto un religioso-, ancor più se è uno di quegli uomini di chiesa che come insegna la figura del grande inquisitore di Dostoevskij, Cristo tornano sistematicamente a metterlo a morte se lo rincontrano. “La Chiesa, non il mondo, la Chiesa – ha crocefisso Cristo”, ha ricordato il teologo protestante Karl Barth alla coscienza cristiana del Novecento.
Se c’ è dunque alcunché di Dio che Stefano Gavioli non ha motivo alcuno di temere e di avversare, è che Dio voglia a lui imporsi con le buone o con le cattive.
Dio non lo solleverà, ed esimerà mai, dall’onere e dal privilegio di un percorso di fede “ personale e intimo”. I dubbi di Stefano Gavioli sono per Dio sacrosanti. se significano ascolto e apertura.
Per Dio, pertanto, sempre secondo le parole di Simone Weil, e proprio come la pensa Stefano Gavioli, davvero è meglio essere atei che avere una fede consolatoria, poiché “ la religione in quanto fonte di consolazione è un ostacolo alla vera fede. In questo senso, l’ateismo è una vera purificazione. Devo essere atea con la parte di me stessa che non è adeguata a Dio”( Quaderni II, 337) ( traggo le citazioni di Simone Weil dal bellissimo “Simone Weil 15 meditazioni, Gribaudi”, edito di recente).
E per quanto ne so, da peccatore in cui Dio confida, anche se nella mia indecenza mi è davvero arduo comprendere come Dio per me, come per ognuno di noi, possa essere addirittura folle d’amore, la fede più che su prove, od argomenti, si fonda sulle trasformazioni che in noi opera l’aver avuto ed il seguitare ad aver fede, soprattutto quando la sventura si fa provvida, perché l’azione di grazia, in virtù della potatura che subiamo dalla natura chirurgica del bene, ci rende capaci di fare ciò che altrimenti non saremmo mai riusciti a compiere. “ Nel caso del male causato dall’uomo, sarà un bene che non sarebbe mai potuto emergere senza il male che mai sarebbe dovuto succedere ( Paul Knitter, Senza Buddha non potrei essere cristiano, pg. 69). E anche la messa in mobilità può allora diventare un male propizio. O quanto ancora peggiore e ben più tremendo può capitarci.
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