venerdì 27 luglio 2012

Mincio Virgiliano I

"Et qualem infelix amisit Mantua campum
pascentem niveos herboso flumine cycnos"

"E una pianura come quella che Mantova, infelice, ha perduto
nutriva cigni nivei sull'erba dei fiumi"

Virgilio Georgiche, II, 198-199

Mincio virgiliano


" tutto quanto il terreno, si diceva,
che giù dai colli via via si distende
con leggero declivio fino all'acqua,
fino al vecchio faggeto dalle cime mozzate,
tutto quanto l'aveva conservato,
grazie ai suoi canti, il vostro Menalca"




Virgilio, Bucoliche, IX, 7-10

mercoledì 4 luglio 2012

Una guerra dei poveri sui fondi-terremoto che trova un primo incendiario

Mi sembra che la guerra dei poveri sui fondi-terremoto, che sarebbe auspicabile che non si fosse ingenerata dopo le anticipazioni sulla ripartizione dei fondi da parte del Presidente dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, trovi un primo incendiario nelle parole di Alberto Silvestri , sindaco di San Felice, che dalle colonne della Gazzetta di Modena edita il 4 luglio 2012, alle lamentele di Roberto Formigoni sul solo 4% dei fondi destinati alle aree della Lombardia investite dal sisma , replica in questi termini “ L’arrabbiatura di Formigoni? E’ un affronto, noto una gran voglia di iscriversi al club dei terremotati . La nostra terra ha sempre pagato fiscalmente tanto, ora chiediamo un aiuto, non vogliamo più di quanto ci spetta”. Spiacente, ma l’affronto è tutto e innanzitutto nelle parole del primo cittadino di San Felice, per come suonano offensive nei confronti dei terremotati del Basso Mantovano, che a suo dire parrebbero finti terremotati e profittatori abusivi di un sisma che non li avrebbe coinvolti che di striscio. Passi che la situazione in cui versano i comuni del Mantovano colpiti dal sisma fosse ignota a Benedetto XVI, benché 100 chiese della Diocesi di Mantova siano state più o meno gravemente lese, che egli credesse che il sisma non avesse superato i confini geografici dell’Emilia, stando a quanto avrebbe confidato al Vescovo di Mantova, Monsignor Busti, secondo la testimonianza di questi, ma che a disconoscere che il sisma abbia sconquassato anche la Bassa mantovana sia il sindaco di un paese situato nel suo epicentro, che non si vede come possa ignorare quanto ha sconvolto la vita e gli insediamenti degli abitanti in tutta l’area del Mantovano che si estende da Gonzaga a Felonica, quale sia la situazione in cui versano i centri storici di Moglia o di San Giacomo delle Segnate o di Schivenoglia, che sincope sia stato il sisma per una città d’arte come Mantova, è assolutamente, assolutamente intollerabile.


giovedì 28 giugno 2012

il sisma delle nostre Basse

Quanto al sisma delle nostre Basse, io vorrei che almeno si fosse all’altezza del compito, per arduo che sia affrontarlo, in quanto richiede l’ elaborazione del lutto di perdute cose e di perdute memorie di intere comunità . Relativizzandolo, si può immaginare che in Giappone tale sisma sarebbe stato poco più che un soprassalto, che in Iran, in Pakistan, o in India, avrebbe causato migliaia di morti anziché poco più di una ventina di decessi. Esso resta tuttavia una catastrofe affettivo- memoriale ed economico-sociale immane, lo dico anche a raffronto con il sisma di Bam, in Iran, cui sono stato di ritorno l’estate seguente, perchè il suo verificarsi è risultato colpevolmente inatteso, ed è accaduto in una fase di acuta recessione economica, che volatilizza aiuti e solidarietà. Abitati come Mirandola centro e Concordia sono oramai città morte.


Nei media locali di Mantova sulla scia di una comparsata disgraziata di Vittorio Sgarbi nelle nostre Basse,ha trovato spazio  l’irresponsabilità estrema, alla parola d’ordine “ salviamo anche l irrecuperabile”,  laddove anche salvare il recuperabile eccede le possibilità effettive.

Un mio compaesano- l’amico Cavalletta Luciano- domenica scorsa mi ha così sintetizzato come a suo vedere stanno le cose: “ C’è poco da fare, quando c’è un morto in casa occorre seppellirlo”, esprimendo l’apprensione di fondo per come si rallentano o si paralizzano il ripristino di edifici e centri abitati, la messa in sicurezza o la demolizione di quelli pericolanti che tengono in scacco la ripresa della vita generale, questioni che sono assillanti più che il rifinanziamento stesso delle attività economiche, che in certa misura si sta avviando, per quanto si sia più solleciti a risollevare e a mettere a norma i capannoni industriali che gli edifici agricoli. Temo, purtroppo, che la realtà già ci imponga piuttosto, ancor più drasticamente, di lasciare evangelicamente che i morti seppelliscano i morti, perchè i vivi non ne siano vampirizzati, e che coloro a cui può essere consentito, in particolare i giovani- debbano essere indirizzati a cercare altrove fortuna, se la loro formazione richiede impieghi in attività di servizio urbane,- o rururbane- Se così seguitano a stare le cose, è previsione scontata che i centri abitati dei nostri paesi diventeranno zombies, all’ombra sis(mat)ica di campanili e chiese, e che ad essi subentreranno propaggini periferiche amministrativo-scolastico-sanitarie di fortuna, vuoi in mancanza di fondi e di possibilità di intervento congrui, vuoi per il sovrapporsi burocratico di vincoli di rispetto del paesaggio al limite del grottesco- che impongono che anche il fienile e la barchessa siano ricostruiti esattamente così com’erano e nei materiali di cui erano fatti prima del crollo. Suppongo che a tal punto occorrerà recuperare virtualmente come fossero edificate le terramare palafitticole, le dimore etrusche del Forcello o le tezze di legno e di cannicciati dei contadini poveri delle età pre-moderne, perché altrimenti le Sovraintendenze non daranno il nulla osta a che si insedino fabbricati di legno emergenziali , in quanto sarebbero difformi dall’edilizia rurale locale tradizionale ( sic in quel di Carpi). È facilmente preventivabile che l’incrociarsi ulteriore di veti e dogmatismi di Sovrintendenze e Curie determinerà, fatalmente, un immobilismo fantasmatico che aggiungerà ulteriori loghini e fienili ruderali,a quelli che già costellano da immemore tempo e senza indurre al loro restauro le nostre campagne, tanto più che nel ripullularvi rigoglioso del boschivo planiziale, già la natura la fa da gran padrona tra i loro resti , con il beneplacito beninteso di Italia Nostra, che in nome della pari dignità di tutte le vestigia del passato, in alcuni suoi esponenti grida allo scandalo anche per gli smontaggi controllati. E sai che futuro avrà l’agriturismo che stava prosperando in zona, quando nemmeno dalle città capoluogo delle province e dai dintorni ci si reca più visita e conforto alle popolazioni terremotate.

Quanto a Mantova, temo che il sisma vi avrà ripercussioni più gravi che in Modena stessa, anche se sembrerebbe vero il contrario stando alle misure cautelative che vi sono state assunte, giacché in Modena, a differenza che in Mantova, tutte le chiese storiche permangono chiuse, e la Chiesa per davvero è Chiesa terremotata di tutti i terremotati. Temo che ciononostante il sisma abbia colpito più duramente la nostra città, perché è stata la sincope che ha debilitato una comunità che da un decennio, almeno, versa in grave declino amministrativo e partecipativo, nel vuoto di una depressione generale politico-culturale...

sabato 23 giugno 2012

A Matteo Cazzulani, sulle mie memorie sismiche

Matteo Cazzulani 23 giugno 10.29.51

Caro Odorico, Scusami se ti secco in privato, ma volevo chiederti la possibilità di un incontro per intervistarti. Sarebbe utile per la causa mantovana se potessi illustrarmi quanto sai in merito alla situazione geologica e della tettonica nel mantovano e più in generale, in Italia. La cosa resta ovviamente riservata se lo desideri, mi servono con una certa urgenza solo i contenuti. Grazie in anticipo: sia io che Daniele ( Marconcini) te ne saremo molto grati. Un Saluto

Caro Matteo,
ti ringrazio di cuore della tua richiesta, non mi stai seccando affatto, purtroppo non ne so gran che di più di quanto ti ho già detto. Al fatto che nelle Bassa la terra boje fa riferimento anche un agricoltore locale in un articolo apparso sulla Gazzetta di mantova sull'orcolat. Dalla mia memoria esce il ricordo vivissimo di scosse sismiche di tale sconquasso- pur senza danni- che mi svegliarono insieme con la mia famiglia nel cuore della notte, quando si viveva in Malcantone di San Giacomo delle Segnate, quindi ben prima del terremoto che ebbe l'epicentro in Novellara. Ho il vago ricordo che l'evento sismico non lo si sia drammatizzato perchè l'epicentro fu localizzato nell'Alto Modenese. Ma credo che parlino di per se sia il dato recente che delle scosse sismiche verificatesi nella stessa area emiliana agli inizi di quest anno io ne abbia avuto comodamente notizia standomene in India, mentre non è stato diffuso alcun allarme civile in Italia, che la sfasatura temporanea tra la presa di coscienza ufficiale della sismicità della nostra area nel 2003, e l'obbligatorietà in loco di criteri costruttivi antisismici solo a iniziare solo dal 2009, se le date sono precise. Un ricordo di viaggio che è desolante sullo stato dell'arte in Italia, è un un mio incontro con un archeologo italiano in Leptis Magna, che in seguito ad un accordo tra un' Università di Roma e i ministeri libici, provvedeva a dun restauro antisismico di un arco trionfale romano, ai tempi della Libia di Gheddafi (!!!). Un saluto Odorico

venerdì 22 giugno 2012

scossa che scuote e livella

Egregio Scansani,
sono Odorico Bergamaschi, ex insegnante, poligrafo- web
La ringrazio vivamente di avere dato spazio nella Gazzetta di Mantova di oggi al mio intervento titolato “ Scossa che scuote e livella”, tra le Testimonianze dei lettori, tuttavia esso vi presenta dei tagli che avrei preferito che fossero concordati con me via mail, o personalmente, oppure che venissero evitati, eventualmente cambiando destinazione e impaginazione o caratteri del mio scritto, per il semplice motivo che fanno risultare particolarmente ruvide e grezze le mie attenzioni riservate alla Diocesi di Mantova , e carenti di circospezione le formulazioni dei miei timori che non si riveli in grado di affrontare in termini universalmente cristiani la catastrofe sismica. Il passo che è stato tagliato all’altezza di “ rimaste impaurite nelle tende” era il seguente : “Ma ( la Chiesa) sarà così in grado, per non incorrere altrimenti nel discredito, di attendere a sacralizzare il secolare e a secolarizzare il sacro, come richiedono le circostanze ed è il suo compito da sempre, evitando di curarsi delle anime che stanno nelle chiese più di quelle rimaste impaurite nelle tende o che sono già al lavoro nei campi, più delle macerie dei propri luoghi di culto che di quelle di capannoni e fienili e case, e saprà spezzare il pane e versare il vino sugli altari come sui tavoli domestici e di lavoro, pregare attraverso la preghiera come attraverso il dispendio di forza lavoro e d’amore solidale? “, cui faceva seguito questa conclusione:
“Ma così, risulta evidente, non è stato e non sarà consumato- ossia adempiuto- che ciò che era già ed ovunque è nelle cose. Che ciò cui è vano opporre resistenza.”
Il brano in questione intendeva dare un respiro spirituale ad una mia preoccupazione che non è motivata solo dalle legittime riserve dei concittadini contribuenti, comunque la pensino, nel sentirsi obbligati a devolvere contributi per “salvare anche l’ irrecuperabile” del patrimonio ecclesiastico, -parola di Sgarbi, no?-, quando vi invitavo la Chiesa a non considerare eucaristica la sola comunione e condivisione della messa, a ritenere preghiera la stessa attenzione e cura di ogni nostro “essere per gli altri”, che è il cristianesimo implicito anche dell’ateo, ossia il cristianesimo “non religioso” che davvero mi preme.
In termini schietti temo infatti che anche per cause di forze maggiore e indipendenti dalle disposizioni spirituali dei nostri prelati, in parole ed opere la Curia stia immedesimando il popolo di Dio da soccorrere con i soli parrocchiani e diocesani, la Casa di Dio con i propri edifici di culto, e pur dalla mia postazione isolata, mi è parso di avvertire un’insofferenza crescente nei riguardi di tali atteggiamenti, e nemmeno tanto larvata, quando come a Poggio Rusco sento l’opposizione a Rinaldoni lamentarsi di un paese tenuto “in scacco” dalla salvaguardia “della Chiesa e di due palazzoni”, ossia in ostaggio della Curia, io leggo tra le righe.
E mi è inquietante il percepire il riemergere della nostalgia dei tempi di Don Camillo e dell’onorevole Peppone, in ciò che Sgarbi a riflettori e bollori spenti ha detto a Daniele Marconcini che lo intervistava nell’Abbazia del Polirone, quando riavviando l’intervista sento il notorio critico d’arte che suggerisce che nei paesi sindaco e prete se la vedano tra loro su come spartirsi i soldi che sopraggiungano, o in quanto si reclama in una lettera alla Voce di Mantova di questi giorni, allorché la sua autrice vorrebbe imporre al nostro Vescovo l’imperio dei suoi rimpianti memoriali, e uscita “fuor di ciclabile” invoca che la Curia di Mantova sieda nella cabina di comando degli interventi finanziari di soccorso con “ inzittibile potestà decisionale”, al fine, con una autentica crociata, di imporvi il salvataggio di ogni nostra chiesa in virtù di considerazioni puramente umano-affettive.
( E ciò mi angustia tuttora parecchio, anche se mi si può prevenire che sopravvaluto il pericolo, che ogni controversia è stata già sciolta in partenza, talmente esigui sono i flussi di spesa effettivamente disponibili o in fase di stanziamento per i nostri terremotati).
Spero che lei non me ne voglia delle malinconie ossessive che le ho diagnosticato.
In India devo vedermela a riguardo con l’opera storico-letteraria di Dalrymple, nella mia credenza che il moderno non estingua automaticamente il bello e il sacro, e che possa piuttosto ravvivarli, anzi, che spesso, con rimandi anche consapevoli, faccia rivivere in forme proprie il bello e il sacro dell’ antico e dei canoni liturgici, in opere che rimangono mirabilmente misconosciute.
Del resto lei sa più di ogni altro che “la Mantova di sempre” non è mai esistita, che nei paesi attuali della Bassa resta oramai solo una larva dei paesi in cui siamo nati ed abbiamo vissuto, e che i volti delle persone che vi abbiamo conosciuto ed amato possiamo oramai ritrovarli, quasi tutti, solo effigiati sulle lapidi delle loro sepolture cimiteriali.
Con i più cordiali saluti
Odorico Bergamaschi

Qualora intenda pubblicare questa comunicazione, per quanto mi riguarda “ ne ha piena facoltà”-

mercoledì 20 giugno 2012

Monsignore, verso la vetta del campanile




Monsignor Busti finanche si avventura in gru verso la sommità del campanile di Santa Barbara
Ci risiamo, temo.
Il popolo di Dio sono i propri parrocchiani terremotati, la Casa di Dio le sue Chiese e i suoi campanili...da privilegiare nei finanziamenti della ricostruzione, si risà
da semplice ex insegnante di Geografia, materia ammirevole e splendida, negletta da insegnanti di Lettere e dirigenti e ordinamenti scolastici, posso dire che invece la sismicità della nostra area era saputa e risaputa, al punto che nei manuali divulgativi o nei supporti di informazione si ipotizzava una riduzione a lago dell'Adriatico settentrionale, a seguito della torsione verso nord Est degli Appennini . da ex abitante dell'area posso dire che da che ero bambino la si sentiva "ribollire", che il risveglio nella notte per eventi sismici mi è accaduto più volte.
Perchè, mi ha chiesto Matteo Cazzulani, giovane geosismiologo,non avete lanciato l'allarme prima allora?

Personalmente non faccio parte di alcuna comunità scientifica, gli ho replicato, e mi era già arduo farmi sentire in classe da studenti- anche della Bassa che trema- che mi rendevano la vita impossibile in classe. Quanto a geografi e sismologi, non so dei loro dibattiti interni, non solo teorici, o disinteressati, presumo, quanto mi va da dirti, è che è da decenni che da parte di opinionisti critici come il defunto Ronchey e Antonio Stella si lancia l'allarme sul dato di fatto che le falde del Vesuvio sono l'area sismica più pericolosa del mondo ( sul Corriere della Sera, non su bollettini specialistici...) Forse che il terremoto delle Basse ha minimante perturbato il torpore delle amministrazioni e delle popolazioni insediatevi, per resipiscenza di riflesso ( lasciando perdere le esondazioni " oramai a orolgeria",a differenza dei sismi) Grazie del fuorisacco che mi hai consentito

venerdì 15 giugno 2012

Quella casa ormai perduta

Una lettera dalla zona terremotata del basso mantovano (presa dalla Gazzetta di Mantova di oggi): "Quella casa ormai perduta, sembra dormire intatta, ma è morta del tutto. Portandosi via un pezzo di vita".
Due settimane dal terremoto. Non mi sembra vero. Mi alzo la mattina e non so come muovermi, arriva sera ed io mi chiedo «Che cosa ho fatto oggi?». Praticamente cerco di riorganizzarmi, ma tutto ...è così? complicato. Guardo la mia casa, immobile, ferma dove l'hanno lasciata 30 secondi di inferno, sradicandola dalle sue fondamenta, facendola ruotare e perdere ogni stabilità strutturale. Vista così, con i suoi gerani sul balcone, le finestre ancora socchiuse, sembra più dormire che morta del tutto. Le crepe si vedono appena, per la pendenza sul fianco ci vuole l'occhio clinico, ma dentro è tutta una rovina. Mobili, vestiti, libri, fotografie, segni di una vita coperti da polvere e calcinacci, irrecuperabili perché la staticità compromessa della casa non permette di entrare, solo l'intervento generoso di alcuni vigili del fuoco attrezzati ha permesso di portare fuori documenti, medicine, oggetti di prima necessità. Comunque sono una sfollata “fortunata”, mio figlio ha ospitato noi genitori e suo fratello nel suo appartamento, anche se dormire al secondo piano è come “non dormire”, ad ogni vibrazione siamo già lungo le scale. Riusciamo a lavarci e mangiare, ed è già molto, ma di notte è tutt'altra cosa, il sonno è fatto da mille passacör, da quell'entrare ed uscire dai sogni per cui, al mattino, la mente è più stanca della sera precedente. Sono arrivati gli inviti a pranzo, il classico «chiedi se hai bisogno», ma devo cominciare a riorganizzare la mia vita, e posso farlo ripartendo dalla quotidianità: al mattino vado a prendere il giornale, lo leggo, poi vado a fare la spesa, comprando qualcosa da mangiare e qualcosa per il bagno, anche se non so bene cosa mi serve, lo faccio per mantenermi allenata. Ora sono tornata al lavoro. Ma il pensiero fisso è su quella casa, in cui ho cresciuto i miei figli e nella quale conservo parte della mia vita: i libri su cui ho studiato e quelli che ho semplicemente letto, le fotografie dei battesimi, delle comunioni, degli anni scolastici, il presepe smontato in soffitta, le scatole dei lego, le cassette registrate, i mobili scelti ed acquistati nel tempo. Come si torna a vivere? Come ci si lascia alle spalle tutta una serie di consuetudini per cercare un nuovo ambiente domestico, ove riunire la famiglia, ove sentirsi protetti, circondati da mura sicure? Per capire a fondo un evento così doloroso, bisogna subirlo sulla propria pelle: se uno si schiaccia un dito, soffre per quello e non per la testa rotta del vicino. Così per un terremoto: ero solidale con chi lo subiva, mi dispiaceva tanto, inviavo un'offerta, ma la sera dormivo nel mio letto, e i miei figli nella stanza accanto. Adesso anche noi sappiamo cos'è la paura e com'è difficile ripartire, facendo finta di non avere amato quelle stanze, di non avere speso anni di stipendi per sistemare tetti, finestre, rifare un bagno. La mia fede mi porta a dire ''Poteva andare peggio, siamo vivi'', ma la mia parte emotiva mi porta invece ad adirarmi, perché lo Stato dovrebbe fare tante meno chiacchiere e tanti più fatti, ed in tempi rapidi, perché non tutti i Comuni dovrebbero dichiararsi “zona terremotata”, togliendo risorse a chi ne ha bisogno e diritto, perché la stampa dovrebbe rilevare e dare risalto ai punti critici che colpiscono direttamente le persone, perché mi sento sola e confusa e vorrei poter tornare a casa mia. (Una cittadina di Quistello).

irresponsabile ( Vittorio Sgarbi) 15 giugno 2012

Irresponsabile, irresponsabile, fuori di ogni grazia, Vittorio Sgarbi nella sua comparsata turbolenta nella nostra Bassa, che è stata edita oggi 15 giugno 2012 sulla Gazzetta di Mantova, l'ennesima manifestazione concitata e febbrile di un suo delirio di onnipotenza neuro-infantile, vociante tra le nostre disgrazie al grido di guerra “bisogna salvare anche l’irrecuperabile”, che ne è stata l'espressione insopportabile di un'egoità assolutamente irriguardosa delle persone afflitte dal sisma e delle loro catastrofi affettive, delle loro necessità vitali più urgenti e di difficoltà e rischi che assillano e incombono, uno strillare, un gridare, uno strigliare, un intimidire , un mettere in riga, tutto un finto volere e potere di fare e darsi da fare, che ha solo tutto il clamore effervescente dello scoppio di una bolla d’aria, di ciò che per Montale fu il grande Big Bang, ossia solo lo Scoppio del ridicolo..
Per ritrovare il senso umano della realtà, invito i lettori della Gazzetta a leggere e rileggere, piuttosto, in data odierna, a pg 11 “ Quella casa ormai perduta”, tra le Testimonianze dei lettori, un documento di vera umanità di R. C. di Quistello, una vera scrittura, bellissima, che rende effettivamente compartecipi della drammaticità così difficile a comprendere del nostro sisma fantasma nelle sue parvenze mediatiche.

redazione originaria Irresponsabile, irresponsabile, Vittorio Sgarbi, nella sua comparsata turbolenta nelle nostre basse, edita oggi sulla Gazzetta di Mantova, un delirio di onnipotenza neuro-infantile, concitato e febbrile, al grido di guerra “bisogna salvare anche l’irrecuperabile”, assolutamente irriguardoso delle persone afflitte dal sisma e delle loro catastrofi affettive, delle loro necessità vitali più urgen...ti e di difficoltà e rischi che assillano, che nella sua visuale non rientrano affatto, uno strillare, un gridare, uno strigliare, un intimidire , un mettere in riga, tutto un finto potere e darsi da fare, che ha tutto il clamore effervescente dello scoppio di una bolla d’aria, di ciò che per Montale fu il grande Big Bang, ossia lo Scoppio del ridicolo..
Per ritrovare il senso umano della realtà, invito i lettori della Gazzetta a leggere e rileggere, piuttosto, in data odierna, a pg 11 “ Quella casa ormai perduta”, tra le Testimonianze dei lettori, un documento di vera umanità di R, C. di Quistello, una vera scrittura, che rende effettivamente compartecipi della drammaticità così difficile a comprendere del nostro sisma fantasma nelle sue parvenze mediatiche

Cara amica ( Gabriella Parra) ti scrivo

Giovedì 14 giugno 2012
Cara Gabriella,
Se ti può confortare, nella tua esigenza sacrosanta che gli esami siamo sostenuti con serietà, sappi che a Mantova e provincia solo le scuole più disastrate ridurranno gli esami alle prove orali.
In alcune scuole- a Gonzaga- solo ieri gli alunni sono rientrati nelle loro aule per riprendere tutto ciò che vi avevano lasciato diradandosi in fuga il 29 maggio scorso, e molti studenti della provincia hanno dovuto studiare per gli esami con insegnanti di supporto, accampati nelle tende senza disporre dei libri e dei sussidi che hanno abbandonato nelle scuole al momento del sisma.
Solo tre Istituti superiori sono veramente disastrati, uno soltanto è irrecuperabile come sede scolastica –è una villa settecentesca il cui restauro comporta per la Provincia costi proibitivi ( 5 milioni di euro)- l’epicentro del sisma ha coinvolto soprattutto centri minori, per cui sono stati lesionate o sono andate di fatto perdute soprattutto le sedi scolastiche di scuole del grado inferiore. Purtroppo(Solo che) il nostro è un sisma fantasma per l ‘opinione pubblica mediatica, ed occorre patire i soccorsi e farsi inserire in ogni forma di aiuto
A mia volta rientrerò nel mondo dell’insegnamento il 14 luglio, a Khajuraho, nel Madhya Pradesh, quando dovrò rispondere alla convocazione di una scuola media inferiore per iniziare a insegnarvi italiano. Qui in Italia, invece, il mio iper-attivismo mediatico resta originato anche dal senso di colpa per essere un salvato rispetto a chi è rimasto sommerso nell’insegnamento per ancora tanti anni a venire.

mercoledì 13 giugno 2012

Vincenzo I Il fasto del potere Una mostra che al Museo diocesano non s'aveva da fare




Domenica scorsa presso il museo diocesano di Mantova si è felicemente chiusa la mostra su Vincenzo I, Il fasto al potere, “ felicemente” è davvero il caso di dire, come quando si pone fine a uno scandalo. Che di scandalo cristianamente si tratta, quando un museo diocesano rende l’omaggio di una mostra a un personaggio storico siffatto, celebrandolo come “ splendidissimo duca”, “ ammantato di sacralità”, in tutto “ il fasto di un principe dispiegato nella magnificenza dell’oro”.Si sorvoli pure sulla sua leggerezza omicida che pose fine all’esistenza terrena di lord Crichton, come così suggestivamente fa il filmato della mostra, sulle “spavalde scorribande …della sua prorompente vitalità”, né sarò io a scagliare la prima pietra sui suoi eccessi sessuali, talmente il Serenissimo può risultare in virtù di essi ancora più simpatico ai chierici curiali, “ così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano”, ma ciò che non taccio è la grazia di cui sovrabbondano le sue vittime più strazianti, in virtù di quanto egli ha provvidenzialmente peccato, come si compiace di giustificarlo un curatore blasfemo della mostra
Mi riferisco innanzitutto a Jonadith Fraschetta, ebrea di 77 anni, che il giorno 22 aprile 1600- quando Vincenzo I era nella pienezza dei suoi poteri sovrani e delle sue facoltà mentali- sulla piazza del Duomo di Mantova, venne bruciata viva per essere stata “ Striga, over per avere magliato molte persone in vita sua et specialmente una monaca dell’ordine di S. Vincenzo in Mantova la quale di già era ebrea e poi fatta cristiana..”, come riferisce la cronaca manoscritta di certo G.B. Virgilio, fattore rurale dei Gonzaga.
“Al quale spettacolo- riporta Antonino Bortolotti, colui che ritrovò negli Archivi di mantova e nel 1891 presso la Tipografia delle Mantellate pubblicò la cronaca in “ Martiri del libero pensiero”,- furono presenti il Duca,”- ossia il nostro Vincenzo I, per l’appunto-, “e la Duchessa di Mantova, Margherita duchessa di Ferrara e Anna Caterina arciduchessa d’Austria, venuta da Inspruk, oltre una straordinaria folla di curiosi”. “La qual Jonadith ebrea- seguita la cronaca originaria- legata con molte funi in piedi ad una colonna di legno sopra una gran quantità di legne, alle quali dopo di esser stato dato fuogo da tre ebrei che la confortavano, duvi ( due) se ne fuggirono et il terzo qual era vecchio et tanto intento al suo ufficio fu quasi per restar con essa lei nelle fiamme…Nel qual mentre si bruciò le funi colle quali aveva legato le mani; et con la mano destra si faceva difesa dal fogo alla faccia soffiando anco colla bocca, ma poco gli valse perché incontinente se ne caddi nelle fiamme et così fini la sua vita”
A tale misfatto fece seguito una grida del 1603, con la quale Vincenzo I invitava ogni uomo alla denuncia di persone che “ con malìe, stregonerie, incanti …e in altro modo malvagio o arte diabolica” provocavano danni frequenti ed atroci, promettendo non solo che il nome dell’accusatore non sarebbe stato rivelato, ma che a chi avesse fornito delle prove, tali da garantire almeno la tortura dell’imputato, sarebbe stato concesso il riscatto dal bando capitale o da altre eventuali pene a cui fosse stato condannato, oppure che ci avrebbe guadagnato del denaro.
E’ una sovrabbondanza di grazia che può risultare finanche eccessiva pure per le anime più arrese al “serenissimo” duca, se si rammemorano anche i sette ebrei che l’anno prima , agli inizi d’agosto del 1602, colpevoli di null’altro che di essersi fatti beffe del fanatismo predicatorio antigiudaico del frate francescano Bartolomeo Cambi, ci rimisero la vita, per permissione del duca, perché furono” appiccati tutti ad un’alta forca coi piedi in suso, e con le berrette gialle… con questa inscrittione in lettere maiuscole. “ Per haver schernita in derisione della Religione Christiana la parola di Dio”.
E lo stesso Vincenzo non seppe poi far di meglio, nel riguardo degli ebrei, che differire di rinchiuderli nel ghetto fino al 1610.
Non mi si dica, a tal punto, che copre i suoi peccati la grandissima fede dell’uomo, giacché in catalogo è degradata a “manifestazione vistosa ma incoerente e superficiale”. Forse occorre davvero arrendersi a ciò che lasciavano balenare ori e splendori, e rifarsi alla “magnifica liberalità “ pari a quella “ di un re” che lo guidava, nella istituzione di ordini religiosi e per i reliquari e cripte di cui fu generoso con la nostra Chiesa, per spiegare il rendimento di grazie, e l’ indulgenza, pressocchè plenaria, concessa ad un duca siffatto da una mostra così empia.

Vincenzo I, il ne-fasto al potere

Seconda una certa dogmatica cattolica sono i peccati di omissione quelli più gravi, giacché ne consegue che a tacere di certi misfatti se ne legittimano altri, ancora peggiori Mi riferisco, quale mia colpa pregressa, prima di evitare di incorrere in una manchevolezza ulteriore che temo ancora più grave, alla mia omessa denuncia all’opinione pubblica locale della sciatteria con cui sono stati esposti, l’autunno scorso, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria le incisioni che Antonio Gajani desunse dagli affreschi di Nicolo dell’Abate che in un Camerino del palazzo di Scandiano illustravano l’Eneide, senza didascalie di sorta, nè avviso alcuno, ai visitatori, che i dipinti originali del Camerino, già nel Castello di Scandiano, erano ben visibili a Modena , nella Galleria Estense, eccettuati due, andati perduti per un incendio, di cui i disegni prevenienti permettevano di ricostruire le linee. Ciò che ora non intendo sottacere, perché non si abusi ulteriormente della presunta dabbenaggine, o inconsapevolezza, o lassitudine morale dei visitatori, è che nel’accedere in extremis per cause di forza maggiore alla mostra Vincenzo I 1562 1612 Il fasto del potere sono rimasto più che sconcertato dall’ambientazione in un Museo Diocesano di una mostra che concelebra l'empietà della religiosità devota di un personaggio storico siffatto, e sono rimasto esterefatto vuoi dall'ostentazione delle ragioni di tanta indulgenza nei suoi riguardi, vuoi dagli omissis sugli orrori più terribili che quel Serenissimo ha commesso, o che ha consentito che si commettessero.
Tutta la mostra è una illustrazione esplicita e senza remore , fin anche compiaciuta, di quanto largo sia o debba essere lo spirito di comprensione di Santa Romana Chiesa per un più che presunto omicida ed un donnaiolo fedifrago impenitente,-inqualificabile è in particolare il modo suggestivo in cui viene evocato il suo assassinio di lord Crichton-, in virtù, è lecito supporre, della sua munificenza religiosa così generosa nei riguardi della stessa Santa Romana Chiesa, il che dovrebbe pur sempre scandalizzare, anche se di questi tempi la cosa non può certo suscitare stupore, o scalpore, visto di che maniche abbondanti si sta mostrando la Santa Romana Chiesa con la condotta sessuale sregolata e con la blasfemia dei potenti che la privilegiano. Ora, per venire al dunque, è pur vero che la mostra non sottaceva il furore antislamico di Vincenzo I, che più per ambizioni di gloria, che per sincerità di fede, lo animò nelle sue imprese belligeranti contro i Turchi ottomani in Ungheria. Ciò che permane pur tuttavia inammissibile, è che in virtù della religiosità del duca sponsoriale della potenza mondana della Santa Romana Chiesa, destinataria per parte sua di istituzioni di ordini religiosi e di mirabili sacrari, nei riguardi speciali della presunta reliquia del Preziosissimo Sangue di Gesù, siano stati rimossi, omessi o sottaciuti non dei vizi privati, ma i crimini imperdonabili contro altre religioni, l’ebraismo per intenderci, insistentemente commessi dallo stesso Vincenzo, per suo cedimento assenziente ed ordine consapevole e diretto.
Secondo le ricerche già plurisecolari di Bertolott Antonino, condotte in Martiri del libero pensiero e vittime della Santa Inquisizione nei secoli 16, 17. e 18. - studi e ricerche negli Archivi di Roma e di Mantova / per A. Bertolotti Roma - Tip. delle Mantellate, 1891 Testo Monografico, a Vincenzo II non solo può essere attribuita una grida del 1603, con la quale questi invitava ogni uomo alla denuncia di persone che “ con malìe, stregonerie, incanti …e in altro modo malvagio o arte diabolica” provocavano danni frequenti ed atroci, promettendo - non solo-che il nome dell’accusatore non sarebbe stato rivelato, ma che a chi avesse fornito prove, tali da assicurare almeno la tortura dell’imputato, sarebbe stato concesso di riscattarsi dal bando capitale o da altre eventuali pene (a cui era stato condannato) oppure di guadagnarne del denaro.
Una cronaca manoscritta di certo G.B. Virgilio, fattore rurale dei Gonzaga,” la quale principia dal 1561 e finisce al 1603,- che il Bertolotti ebbe provvidamente a raccogliere-, registra che a di - ossia il giorno-22 aprile 1600- quando Vincenzo I era nella pienezza dei suoi poteri sovrani e delle sue facoltà mentali- sulla piazza del Duomo di Mantova, venne bruciata viva Jonadith Fraschetta, ebrea di 77 anni per essere stata “ Striga, over per avere magliato molte persone in vita sua et specialmente una monaca dell’ordine di S. Vincenzo in Mantova la quale di già era ebrea e poi fatta cristiana..
Al quale spettacolo furono presenti- loro bontà Serenissime- il Duca e la Duchessa di Mantova, ossia il nostro Vincenzo I, per l’appunto, Margherita duchessa di Ferrara e Anna Caterina arciduchessa d’Austria, venuta da Inspruk, oltre una straordinaria folla di curiosi.“ La qual Jonadith ebrea legata con molte funi in piedi ad una colonna di legno sopra una gran quantità di legne, alle quali dopo di esser stato dato fuogo da tre ebrei che la confortavano, duvi ( due) se ne fuggirono et il terzo qual era vecchio et tanto intento al suo uficio fu quasi per restar con essa lei nelle fiamme…Nel qual mentre si bruciò le funi colle quali aveva legato le mani; et con la mano destra si faceva difesa dal fogo alla faccia soffiando anco colla bocca, ma poco gli valse perché incontinente se ne caddi nelle fiamme et così fini la sua vita”E’ ben inteso che i tre ebrei erano stati costretti a prender parte al supplizio della loro correligionaria.
E non è tutto, purtroppo, a suffragio del mio dossier.
A conforto del mio assillo che a mia volta io non debba concorrere nel peccato di omissione, non dei più leggeri, dei misfatti di Vincenzo I che rendevano inammissibilie in sale curiali qualsiasi magnificazione espositiva della sua pietà devozionale, è il dato recentissimo che non più tardi del dicembre scorso una pagina culturale della Voce di Mantova era dedicata ad uno studio pregevole recente, per una singolare coincidenza sempre ad opera di un emerito Bertolotti, questa volta Bertolotti Maurizio di Mantova, noto a noi tutti, che verteva su un altro crimine orrendo consentito dal nostro Serenissimo duca, ed a lui addebitabile, un crimine che è desumibile direttamente dal titolo medesimo dello scritto in questione: Sette ebrei sulla forca. Dalla Trinità di Rubens (1605) alla Madonna della Vittoria ( 1495-96).
Anche da una lettura in sintesi dello stesso gran bel réportage di Paola Artoni, l’articolista, pur senza addentrarsi nel saggio si evince che Vincenzo I permise che i sette ebrei, colpevoli di null’altro che di essersi fatti beffe del fanatismo predicatorio antigiudaico del frate francescano Bartolomeo Cambi fossero” appiccati tutti ad un’alta forca coi piedi in suso, e con le berrette gialle… con questa inscrittione in lettere maiuscole. “ Per haver schernita in derisione della Religione Christiana la parola di Dio”.
E lo stesso non seppe poi far di meglio nel riguardo degli ebrei, che differire di rinchiuderli nel ghetto fino al 1610.
Nec plus ultra, sul ne-fasto al potere di Vincenzo I.
Non sarebbe dunque davvero il caso, in conclusione, che da parte delle autorità della Chiesa si lasciasse solo a Dio il perdono di chi a favore della sua potenza mondana ha commesso simili misfatti interreligiosi, e che in virtù di tali favori non si anticipasse in ambito storico- celebrativo la Sua indulgenza plenaria?

sabato 9 giugno 2012

La rivelazione sismica


A Te mi arrendo, o Dio

Allahu akbar, Dio è davvero il più grande. Ne ha sconvolte tra noi di cose il terremoto, nell’ordine materiale ed ideale, con un'ironia sferzante che credevamo riservata all'ironia della storia. On namah Sivaya. Ci si arrenda alla Sua volontà conseguente-
Chi difendeva il proprio campanile come proprio simbolo identitario, che avrebbe dovuto nei secoli dei secoli svettare in esclusiva tra le nostre campagne, e non tollerava che condividesse lo slancio di minareti o di pinnacoli di gurdwara sik, ora possiamo ritrovarlo in prima fila a chiederne l'abbattimento, per non condannare il proprio centro abitato a non risorgere mai più, sotto l’incombere della minaccia del suo crollo sismico sulle case sottostanti, mentre ne piange l'abbattimento la ragazza sik che vivendo in un casolare adiacente si è trasfusa nella nostra civiltà
Chi vedeva nel verde dei campi una natura amica (incontaminabile, o ancora incontaminata), da salvaguardare dal demone divoratore inghiottitutto del cemento, ora deve affidare innanzitutto al bruto cemento la sua difesa dalle insidie che la natura cela nel grembo, da che sotto il suo sguardo esse l’hanno percorsa così terrificante, risollevandola con i nostri municipi, mentre chi ancora ritrovava finora il bello solo nella sopravvivenza e nella reviviscenza dell’antico, a meno di non sembrare grottesco senza più indulgere in malinconie ossessive deve accogliere l’idea che il bello – come fu nel passato- sopraggiunga in nuove epifanie attraverso l’abbattimento forzoso delle vestigia periclitanti dei nostri edifici storici, per care che ne siano le memorie di cui sono gravide, pena il trasformare in monumenti inabitati intere comunità agricole. E con il destino dell’idea antiquaria di bello si fa improcrastinabile, in loco, la renovatio del destino medesimo dell’idea ecclesiastica di bene.
La chiesa che credeva di poter ritardare i rendiconti della propria dogmatica con la contemporaneità ora è qui costretta a schiudersi,prima che sia già tardi, alla fede di chi si rifiuta di leggere i disegni di un Dio sovrano onnipotente in quello che accade, deve negarsi la temerarietà di credersi il gregge salvaguardato da Dio come suo popolo eletto rispetto a chi Dio avrebbe castigato con la sua ira sismica, e se intende evitare il discredito integrale, non le resta che attendere secondo le circostanze a sacralizzare il secolare e secolarizzare il sacrocome del resto è suo compito da sempre, evitando di curarsi delle anime che stanno nelle chiese più di quelle rimaste impaurite nelle tende o che sono già al lavoro nei campi , più delle macerie delle propri luoghi di culto che di quelle di capannoni e fienili e case, e deve spezzare il pane e versare il vino sugli altari come sui tavoli domestici e di lavoro, pregare attraverso la preghiera come attraverso il dispendio di forza lavoro e di amore solidale.
Ma così, risulta evidente, non è stato consumato- ossia adempiuto- che ciò che era già ed ovunque è nelle cose. Che ciò cui è vano opporre resistenza.
Il terremoto manifestandosi ri-velazione

caro amico, ti scrivo, 4 giugno 2012

sabato 9 giugno 2012
caro amico, ti scrivo
Caro amico, ti scrivo 4 giugno 2012
"Da ieri sera qui non sono pervenute ulteriori grossi scosse fino ad adesso. Ma un certo traballio è continuo...Qui a Mantova riusciamo ancora a stare e a dormire in casa, pur se vestiti e " senza andar sotto" le coperte, con le ciabatte a portata di piede...E 'già una gran bella differenza rispetto a chi nelle nostre Basse si ritroverà a dormire in macchina anche stanotte. Di novità c'è che l'anno scolastico in città è stato dichiarato finito e che il mercato è stato spostato- Quanto alla pioggia è soprattutto un bene per l'agricoltura, credo. Occorre tener conto di tutto.
Ciao
Odorico

Pubblicato da odorico a 20

giovedì 19 gennaio 2012

il passo indietro di Dio

Signor Direttore,
Nel corso degli ultimi mesi e delle vicende della grande crisi che hanno sconvolto molti dei nostri destini, la mia esperienza più emozionante di lettore delle missive che s’inoltrano ai quotidiani di Mantova è stata senz’altro quella che mi ha coinvolto nelle vicissitudini recenti di Stefano Gavioli. Mentr’io uscivo drammaticamente dall’insegnamento e mi addentravo in tutte le incertezze angoscianti del pensionamento, incalzato dallo stroncamento delle mie aspettative che le manovre economiche incombenti potevano determinare, mediante le sue cronache sulle colonne della Voce di Mantova ho ritrovato Stefano Gavioli addentro al tunnel di una variante del mio destino ancora più sconvolgente, a cinquant’anni e in mobilità, ridotto a quelle privazioni di vita, il freddo, il buio, l’uso della bicicletta, il risparmio, “sempre e solo risparmiare”, che per me da decenni sono tuttavia forme abituali di rinuncia, o di distacco, che pratico ben volentieri per consentirmi di vivere le scelte di vita che sono la mia vocazione in questi “global times. In tale duplice fuoriuscita, ho rinvenuto anch’egli alle prese con ricordi di mortificazioni umilianti, che per Stefano Gavioli sono rimasti ancora in sospeso, mentre per me sono un intero stadio della mia esistenza che ho rimosso od estirpato. Ma era tale lo spirito intrepido con cui rievocava la sua controfigura al bel tepore sotto le coperte, quand’erano già le tre di notte senza che fosse ancora riuscito a trovare il sonno, mentre in realtà era intento a scrivere, benissimo, i referti del suo vissuto emozionale che voleva far credere al lettore che non riuscisse ad esprimere sbloccandosi, era tale lo slancio in avanti della sua fede nella realtà, che non mi ha sorpreso, all’inizio del nuovo anno, constatare che non solo era caduto in piedi, “ landed on his feet”, com’era accaduto anche a me, a onore del vero, ma che sulla Voce aveva già l’aire di dire la sua allo stesso “caro Dio”, intimandogli di fare un passo indietro, come secondo gli stereotipi in uso nei notiziari, le piazze richiedono agli stessi dittatori arabi che non lasciano il potere. Più secolarmente si è poi concesso di invitare i cari dinosauri dell’estrema sinistra a rimanersene rintanati, a non scendere in piazza per cavalcare la protesta di un mondo rispetto ai cui cambiamenti sono rimasti remoti anni luce.
Ma non è tanto sul fatto che possa avere gettato il ferro a fondo disimpegnandosi a sinistra, quanto sul passo indietro che richiede a Dio, che m’interessa dire a Stefano Gavioli che cosa ne penso.
Ora, se c’è un ampio orizzonte d’intesa nella teologia cristiana contemporanea, esso è dato dallo spazio di libertà che fin dalla fondazione del mondo Dio ha concesso all’uomo e all’operare autonomo degli eventi naturali, adempiendo appunto a quel passo indietro che Stefano Gavioli gli chiede così perentoriamente di fare, da quando il settimo giorno è entrato mitologicamente nel riposo sabbatico.
Asserisce ad esempio la grandissima Simone Weil: “Per Dio la Creazione non è consistita nell’estendersi, quanto piuttosto nel ritirarsi. Egli ha cessato di “ comandare dappertutto, là dove n’aveva il potere”… Questo movimento è l’amore ( Quaderni III 96). “Dio non è onnipotente in quanto creatore. La creazione è un’abdicazione. Piuttosto, Egli è l’onnipotente nel senso che la sua abdicazione è volontaria”( Quaderni III, 152).
Appunto perché Dio ha compiuto da sempre questo passo indietro rispetto agli eventi del mondo, con la nostra libertà sono dati tutto il male e le sventure in cui essa si adempie, secondo la prospettiva umana delle vicende cosmiche.
E’ in tal senso che l’uomo è ad immagine di Dio nella sua vocazione ad amare, ma nella sua realtà vivente per lo più è tutt’altro che buono e a Sua somiglianza. Tanto più se è un uomo particolarmente “religioso”, come quelli che misero a morte Gesù, - che tra l’altro, come Buddha non era affatto un religioso-, ancor più se è uno di quegli uomini di chiesa che come insegna la figura del grande inquisitore di Dostoevskij, Cristo tornano sistematicamente a metterlo a morte se lo rincontrano. “La Chiesa, non il mondo, la Chiesa – ha crocefisso Cristo”, ha ricordato il teologo protestante Karl Barth alla coscienza cristiana del Novecento.
Se c’ è dunque alcunché di Dio che Stefano Gavioli non ha motivo alcuno di temere e di avversare, è che Dio voglia a lui imporsi con le buone o con le cattive.
Dio non lo solleverà, ed esimerà mai, dall’onere e dal privilegio di un percorso di fede “ personale e intimo”. I dubbi di Stefano Gavioli sono per Dio sacrosanti. se significano ascolto e apertura.
Per Dio, pertanto, sempre secondo le parole di Simone Weil, e proprio come la pensa Stefano Gavioli, davvero è meglio essere atei che avere una fede consolatoria, poiché “ la religione in quanto fonte di consolazione è un ostacolo alla vera fede. In questo senso, l’ateismo è una vera purificazione. Devo essere atea con la parte di me stessa che non è adeguata a Dio”( Quaderni II, 337) ( traggo le citazioni di Simone Weil dal bellissimo “Simone Weil 15 meditazioni, Gribaudi”, edito di recente).
E per quanto ne so, da peccatore in cui Dio confida, anche se nella mia indecenza mi è davvero arduo comprendere come Dio per me, come per ognuno di noi, possa essere addirittura folle d’amore, la fede più che su prove, od argomenti, si fonda sulle trasformazioni che in noi opera l’aver avuto ed il seguitare ad aver fede, soprattutto quando la sventura si fa provvida, perché l’azione di grazia, in virtù della potatura che subiamo dalla natura chirurgica del bene, ci rende capaci di fare ciò che altrimenti non saremmo mai riusciti a compiere. “ Nel caso del male causato dall’uomo, sarà un bene che non sarebbe mai potuto emergere senza il male che mai sarebbe dovuto succedere ( Paul Knitter, Senza Buddha non potrei essere cristiano, pg. 69). E anche la messa in mobilità può allora diventare un male propizio. O quanto ancora peggiore e ben più tremendo può capitarci.

lunedì 16 gennaio 2012

il museo d'arte moderna e contemporanea nell'ex caserma

Bentornato il Mac in campo, per riproporre tramite il suo presidente, Eristeo Banali, che l’ex caserma di Largo XXIV Maggio diventi la sede del coronamento del sogno, oramai pluridecennale, del Museo di arte contemporanea di Mantova.
C’è da sperare che i tempi siano finalmente maturi, - alla ricomparsa sulla Gazzetta di Mantova dell’8 gennaio, appena trascorso, della medesima titolazione in cui già in data 29 novembre 2009 si auspicava “il Museo nell'ex caserma”, ma che in un balletto di titoli il 28 novembre 2011 aveva ceduto il passo alla formulazione della proposta alternativa che si insediasse “ il tribunale nell’ex Caserma”, avanzata da Sergio Cordibella quale presidente di Italia nostra.
Ciò che lascia supporre che questa volta non si stia assistendo all’ennesimo vano sforzo dei Troiani, è che Eristeo Banali a tutela della destinazione museale del monumento, e a sua salvaguardia da ogni inappropriata manomissione speculativa e dal degrado fin anche igienico-sanitario che ne è in corso, può accampare i vincoli ad un uso esclusivamente culturale dell’ex convento cinquecentesco, che a suo tempo furono posti dall’ex direttore per i Beni Architettonici e paesaggistici della Lombardia, Carla di Francesco.
Ancor più, alla petizione on line ora corrisponde il coinvolgimento di tutto l’insieme di forze, Comune, Provincia, Università, Regione, Ministeri, Comunità Europea, oltre ai privati cointeressati, il cui concorso è indispensabile perché l’ obiettivo sia conseguito.
Il recupero a Museo dell’edificio demaniale dimesso dell’ex convento-caserma Curtatone e Montanara, un intervento che può diventare un riferimento esemplare nell’architettura e nell’urbanistica contemporanea, renderebbe possibile portare a compimento la sublimazione mirabile del sito di Palazzo Te e dei monumenti del complesso di San Sebastiano, inclusa la casa del Mantegna, in un polo museale eccezionale della nostra città, integrativo e complementare di quello del Palazzo Ducale.
Il progetto del Mac, incentrato sull’insediamento di un Museo dell’arte contemporanea nell’ex caserma dei Canonici Lateranensi di San Sebastiano, in realtà si proietta oltre tale intento pur eccezionale, se si considerano le destinazioni ulteriori dell’edificio monumentale che Eristeo Banali prospetta nella sua intervista, a integrazione delle raccolte civiche del Museo di San Sebastiano che lo fronteggia. In tal senso, l’attuazione di tale disegno corrisponde talmente alla vocazione della nostra città, che può rientrare felicemente nell’alveo di quanto ha prefigurato a suo tempo lo stesso Salvatore Settis, nel suo “ Progetto per Mantova”, laddove nel complesso di San Sebastiano ha preventivato la formazione del polo civico del sistema integrato di un unico Museo della Città, un “ multi purpose complex” in cui potrebbero confluire le raccolte civiche non esposte al pubblico, o la cui sistemazione attuale non ne sia attrattiva. Ad esempio, tra quelle indicate o suggerite da Salvatore Settis, potrebbero figurarvi le collezioni permanenti ora sistemate nel Palazzo Te, – innanzitutto, a mio avviso, la Sezione gonzaghesca e la Collezione Mondadori,- oltre a quelle del Museo del Risorgimento e della Resistenza non più accessibili..
“ Si avrebbe in tal modo, ebbe a scrivere Settis, un solo Museo della Città, che partendo dalla sua storia comunale giunga al presente attraverso il Risorgimento e la Resistenza; mentre la Donazione Mondadori, coi suoi quadri di Zandomeneghi e Spadini, potrebbe formare il primo nucleo di una collezione d’arte dall’Ottocento al presente, in crescita in caso di nuove acquisizioni o donazioni”.
A novembre, a sostegno dell’ idea avanzata di nuovo, da Stefano Scansani, che la Casa del Mantegna sia destinata alla mostra virtuale permanente dell’opera omnia del suo artefice, un’idea eccellente che tuttora condivido pienamente e qui rilancio, ebbi così a scrivere: “Si potrebbe estendere tale ideazione – oltre che alla Celeste galleria ducale virtualizzata-, anche al San Sebastiano per l’opera e la fortuna dell’Alberti, mediante un impianto scenico di proiezioni e prospezioni in cui siano coinvolti i modellini lignei che vi sono la giacenza della fortunata mostra “Leon Battista Alberti e l’architettura”. La fantasmagoria rigorosa dell’allestimento potrebbe assicurare il buon esito dell’ordinaria apertura al pubblico del tempio. Lo stesso discorso potrebbe valere anche per il Museo della Città di Mantova, la cui sublime raffinatezza espositiva è incontestabile, ma a mio avviso non è ciò che vorrebbero ritrovarvi i suoi visitatori potenziali, che in un museo della Città -o in una sistemazione attigua, complementare a quella sussistente- forse amerebbero prima di tutto vedere esibite le mappe e le carte del passato di Mantova e provincia, e rinvenire le ricostruzioni virtuali e le immagini d’epoca, o artistiche, dei mutamenti del volto architettonico e urbanistico della nostra città, quanto del paesaggio dei territori con cui essa è stata in relazione, non che raffigurazioni delle varie arti e mestieri e delle mode e degli stili di vita che vi si sono succeduti, dalle più remote origini sino a tutto il Novecento, un lavoro di equipe che può essere svolto in collaborazione con le più varie istituzioni culturali e scolastiche di città e provincia.”
Ho così prefigurato un ampliamento ulteriore della offerta espositiva del Museo della città di Mantova , che tuttora reputo pienamente valido , e che può trovare spazio, appunto, nell’ex convento e caserma di San Sebastiano, insieme a mostre temporanee, centri di documentazione, ambienti di accoglienza e di ristoro, cantieri e laboratori di ricerca e di progettazione, imperniati sulle criticità e sul futuro della città e dei suoi territori- , che ne avvalorerebbero innanzitutto economicamente il riuso come sistema museale integrato, nella misura in cui le risorse disponibili lo consentano progressivamente.