mercoledì 13 giugno 2012

Vincenzo I, il ne-fasto al potere

Seconda una certa dogmatica cattolica sono i peccati di omissione quelli più gravi, giacché ne consegue che a tacere di certi misfatti se ne legittimano altri, ancora peggiori Mi riferisco, quale mia colpa pregressa, prima di evitare di incorrere in una manchevolezza ulteriore che temo ancora più grave, alla mia omessa denuncia all’opinione pubblica locale della sciatteria con cui sono stati esposti, l’autunno scorso, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria le incisioni che Antonio Gajani desunse dagli affreschi di Nicolo dell’Abate che in un Camerino del palazzo di Scandiano illustravano l’Eneide, senza didascalie di sorta, nè avviso alcuno, ai visitatori, che i dipinti originali del Camerino, già nel Castello di Scandiano, erano ben visibili a Modena , nella Galleria Estense, eccettuati due, andati perduti per un incendio, di cui i disegni prevenienti permettevano di ricostruire le linee. Ciò che ora non intendo sottacere, perché non si abusi ulteriormente della presunta dabbenaggine, o inconsapevolezza, o lassitudine morale dei visitatori, è che nel’accedere in extremis per cause di forza maggiore alla mostra Vincenzo I 1562 1612 Il fasto del potere sono rimasto più che sconcertato dall’ambientazione in un Museo Diocesano di una mostra che concelebra l'empietà della religiosità devota di un personaggio storico siffatto, e sono rimasto esterefatto vuoi dall'ostentazione delle ragioni di tanta indulgenza nei suoi riguardi, vuoi dagli omissis sugli orrori più terribili che quel Serenissimo ha commesso, o che ha consentito che si commettessero.
Tutta la mostra è una illustrazione esplicita e senza remore , fin anche compiaciuta, di quanto largo sia o debba essere lo spirito di comprensione di Santa Romana Chiesa per un più che presunto omicida ed un donnaiolo fedifrago impenitente,-inqualificabile è in particolare il modo suggestivo in cui viene evocato il suo assassinio di lord Crichton-, in virtù, è lecito supporre, della sua munificenza religiosa così generosa nei riguardi della stessa Santa Romana Chiesa, il che dovrebbe pur sempre scandalizzare, anche se di questi tempi la cosa non può certo suscitare stupore, o scalpore, visto di che maniche abbondanti si sta mostrando la Santa Romana Chiesa con la condotta sessuale sregolata e con la blasfemia dei potenti che la privilegiano. Ora, per venire al dunque, è pur vero che la mostra non sottaceva il furore antislamico di Vincenzo I, che più per ambizioni di gloria, che per sincerità di fede, lo animò nelle sue imprese belligeranti contro i Turchi ottomani in Ungheria. Ciò che permane pur tuttavia inammissibile, è che in virtù della religiosità del duca sponsoriale della potenza mondana della Santa Romana Chiesa, destinataria per parte sua di istituzioni di ordini religiosi e di mirabili sacrari, nei riguardi speciali della presunta reliquia del Preziosissimo Sangue di Gesù, siano stati rimossi, omessi o sottaciuti non dei vizi privati, ma i crimini imperdonabili contro altre religioni, l’ebraismo per intenderci, insistentemente commessi dallo stesso Vincenzo, per suo cedimento assenziente ed ordine consapevole e diretto.
Secondo le ricerche già plurisecolari di Bertolott Antonino, condotte in Martiri del libero pensiero e vittime della Santa Inquisizione nei secoli 16, 17. e 18. - studi e ricerche negli Archivi di Roma e di Mantova / per A. Bertolotti Roma - Tip. delle Mantellate, 1891 Testo Monografico, a Vincenzo II non solo può essere attribuita una grida del 1603, con la quale questi invitava ogni uomo alla denuncia di persone che “ con malìe, stregonerie, incanti …e in altro modo malvagio o arte diabolica” provocavano danni frequenti ed atroci, promettendo - non solo-che il nome dell’accusatore non sarebbe stato rivelato, ma che a chi avesse fornito prove, tali da assicurare almeno la tortura dell’imputato, sarebbe stato concesso di riscattarsi dal bando capitale o da altre eventuali pene (a cui era stato condannato) oppure di guadagnarne del denaro.
Una cronaca manoscritta di certo G.B. Virgilio, fattore rurale dei Gonzaga,” la quale principia dal 1561 e finisce al 1603,- che il Bertolotti ebbe provvidamente a raccogliere-, registra che a di - ossia il giorno-22 aprile 1600- quando Vincenzo I era nella pienezza dei suoi poteri sovrani e delle sue facoltà mentali- sulla piazza del Duomo di Mantova, venne bruciata viva Jonadith Fraschetta, ebrea di 77 anni per essere stata “ Striga, over per avere magliato molte persone in vita sua et specialmente una monaca dell’ordine di S. Vincenzo in Mantova la quale di già era ebrea e poi fatta cristiana..
Al quale spettacolo furono presenti- loro bontà Serenissime- il Duca e la Duchessa di Mantova, ossia il nostro Vincenzo I, per l’appunto, Margherita duchessa di Ferrara e Anna Caterina arciduchessa d’Austria, venuta da Inspruk, oltre una straordinaria folla di curiosi.“ La qual Jonadith ebrea legata con molte funi in piedi ad una colonna di legno sopra una gran quantità di legne, alle quali dopo di esser stato dato fuogo da tre ebrei che la confortavano, duvi ( due) se ne fuggirono et il terzo qual era vecchio et tanto intento al suo uficio fu quasi per restar con essa lei nelle fiamme…Nel qual mentre si bruciò le funi colle quali aveva legato le mani; et con la mano destra si faceva difesa dal fogo alla faccia soffiando anco colla bocca, ma poco gli valse perché incontinente se ne caddi nelle fiamme et così fini la sua vita”E’ ben inteso che i tre ebrei erano stati costretti a prender parte al supplizio della loro correligionaria.
E non è tutto, purtroppo, a suffragio del mio dossier.
A conforto del mio assillo che a mia volta io non debba concorrere nel peccato di omissione, non dei più leggeri, dei misfatti di Vincenzo I che rendevano inammissibilie in sale curiali qualsiasi magnificazione espositiva della sua pietà devozionale, è il dato recentissimo che non più tardi del dicembre scorso una pagina culturale della Voce di Mantova era dedicata ad uno studio pregevole recente, per una singolare coincidenza sempre ad opera di un emerito Bertolotti, questa volta Bertolotti Maurizio di Mantova, noto a noi tutti, che verteva su un altro crimine orrendo consentito dal nostro Serenissimo duca, ed a lui addebitabile, un crimine che è desumibile direttamente dal titolo medesimo dello scritto in questione: Sette ebrei sulla forca. Dalla Trinità di Rubens (1605) alla Madonna della Vittoria ( 1495-96).
Anche da una lettura in sintesi dello stesso gran bel réportage di Paola Artoni, l’articolista, pur senza addentrarsi nel saggio si evince che Vincenzo I permise che i sette ebrei, colpevoli di null’altro che di essersi fatti beffe del fanatismo predicatorio antigiudaico del frate francescano Bartolomeo Cambi fossero” appiccati tutti ad un’alta forca coi piedi in suso, e con le berrette gialle… con questa inscrittione in lettere maiuscole. “ Per haver schernita in derisione della Religione Christiana la parola di Dio”.
E lo stesso non seppe poi far di meglio nel riguardo degli ebrei, che differire di rinchiuderli nel ghetto fino al 1610.
Nec plus ultra, sul ne-fasto al potere di Vincenzo I.
Non sarebbe dunque davvero il caso, in conclusione, che da parte delle autorità della Chiesa si lasciasse solo a Dio il perdono di chi a favore della sua potenza mondana ha commesso simili misfatti interreligiosi, e che in virtù di tali favori non si anticipasse in ambito storico- celebrativo la Sua indulgenza plenaria?

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