Signor Direttore, l’intero programma delle celebrazioni giuliesche si prefigura come davvero allettante e magnificamente orchestrato, non fosse per la mostra “Giulio Romano, Arte e Desiderio , tanto più dopo il suo lancio come “ la mostra più sexy dell’anno”. L’assunto, dato il titolo, avrebbe dovuto far tremare le vene e i polsi, se preso sul serio. Nell’arte sia occidentale che orientale, certamente nella fabella di Amore e Psiche da cui dovrebbe trarre origine la mostra, il desiderio rimanda a Dio ed all’unione dell’anima con Dio, per partecipazione o per fusione. Per lo stesso Raffaello, maestro di Giulio, ogni altra espressione del Desiderio la si vuole una manifestazione insufficiente e votata all’ insoddisfazione dell’Amore di Dio, e comunque sia, per tale sua radice, o non, tale desiderio è presente in ogni nostra intensità ed attaccamento, sia esso sensoriale o intellettuale, nello stesso mondo animale e vegetale, o altrimenti è in tensione agonistica contro ogni nostra brama, se l’unione a Dio la si persegue per distacco o per rinuncia, nella mortificazione fino al sacrificio volontario della stessa esistenza. Così era o avrebbe dovuto essere per Apuleio nelle sue Metamorfosi in conformità con il culto di Iside dei cui misteri è il risvolto essoterico la storia di Amore e Psiche a cui è ispirata la stanza omonima di Giulio Romano, e così avrebbe dovuto essere per lo stesso Giulio Romano, sempre che l’assunto non sia stato per il Pippi un mero pretesto, come sembra esserlo per gli organizzatori della mostra. E’ oramai indubbio, infatti, come hanno inteso la cosa lor signori, in vista di un facile e certo successo, quale sia, in esclusiva, l’ oggetto per niente oscuro di Desiderio ed arte che è il loro target, in sintonia prestabilita con i visitatori di massa che si attendono a frotte, riconducendoci alla solita Mantova tra delizie e malizie. Solo che anche il vedere il desiderio solo sotto quel lato, ci rimanda sempre ad Altro, senza essere per questo dei Lacan: all’energia espressiva che è infusa nella sua manifestazione artistica, ai maestri del fare figurativo da cui la si è attinta, poiché di per sé anche la più esplicita della scene erotiche ben poco accalora, o suscita, in noi , nel sentire estetico che è di più del nostro io pornografico, se non è emozionante in virtù di linea o colore o matericità e imprimitura, etc. etc Senza di che sai che gran risultato , direbbe il poeta, cosi uscirne dal Te come da a un “Eldorado banal de tous les vieux garcons “. Chi poi ci dice che non ci sia più desiderio in una marina di Monet o in un notturno di Van Gogh, nelle stesse mele di Cezanne, che nei “modi” sessuali del duo Giulio Romano- Marco Antonio Raimondi? O per privazione sublime nello stesso ascetismo delle bottiglie fantasmatiche di Giorgio Morandi? E comunque sia non c’è , di fatto, discorso su Arte e Desiderio come esplicitazione espressiva proprio della sessualità, che non debba fare i conti come terzo incomodo con il Potere, le cui divagazioni sessuali principesche si vollero sdoganare con i fasti degli Amori degli Dei e di Giove che furono dipinti dal Correggio e da Perino del Vaga e che saranno in mostra, un felice ritorno di certo quello del Bonaccorsi, nelle stanze del , ma guarda caso sempre sotto le insegne dell’ Electa. Il Potere, è beninteso, da intendersi non solo come l’istanza che consentiva in Roma tutto quello che al Pippi o al Raimondi era rappresentabile solo in una Mantova od in una Venezia, ma pur anche come l’ abuso di posizione dominante che sollecitava al nostro “genio” e “ gigante” l’infamia di anticipare per il marito della Boschetti, Francesco Cauzzi Gonzaga, quale terzo incomodo tra lei e il duca Federico secondo, di lei amante, nell’artigliatura dell’ occhio del coniuge da parte di un Giove duca già in procinto di penetrarne la moglie Olimpia-Isabella , l’assassinio non tanto oscuro di cui il Cauzzi sarebbe stato vittima nel 1528. Ed a tal punto della licenza per accortezza e delicatezza taccio