Caro Vito Mancuso,
sono un ex insegnante di Materie Letterarie di Mantova ritiratosi in pensione, ora diviso tra l'italia e lIndia dove vive la mia amata famiglia di adozione.. Le scrivo per trasmetterle il file allegato di un intervento che ho trasmesso alla locale Gazzetta, che verte su una mostra su Vincenzo I Gonzaga che a mio giudizio non s'aveva assolutamente da fare nel museo Diocesano, per ragioni che ora non le rivelo ma che sono sicuro (che) la coinvolgeranno-
Nel mio blog potrebbe ugualmente essere per lei del più vivo interesse il dibattito che è intercorso tra me ed il mio amico Valentino Giacomin. cofondatore in India delle scuole del Progetto Alice, sulla divergenza sull'amore del prossimo che è intercorsa tra Madre Teresa di Calcutta e Raimon Panikkar.
L'indirizzo è www.odoricoamico.blogspot.com
Ricercandomi in Facebook, nel mio diario può ritrovare l'articolo sulla mostra nefasta.
In rete, indicando 7 ebrei Vincenzo I, può ritrovare un bell' articolo, non mio, apparso su La voce di mantova il 18 dicembre 2011, che amplifica la conoscenza storica del contenuto del mio intervento polemico sull'infausto evento diocesano ( empio è la qualificazione corretta)
Auguri immensi per la sua ricerca autentica.
Odorico Bergamaschi
10 di giugno presso il Museo Diocesano
di Mantova ha felicemente chiuso i battenti la mostra su Vincenzo I,
Il fasto al potere, “ felicemente” è davvero il caso di dire,
come quando si pone fine ad uno scandalo. Che di scandalo si tratta,
secondo dei criteri cristiani di discernimento, quando un Museo
Diocesano rende l’omaggio di una mostra ad un personaggio storico
siffatto, celebrandolo nella sua immoralità spietata e succube come
“ splendidissimo duca”, “ ammantato di sacralità”, in tutto
“ il fasto di un principe dispiegato nella magnificenza dell’oro”.
Si sorvoli pure sulla sua leggerezza omicida che pose fine
all’esistenza terrena di Lord Crichton, sulle “spavalde
scorribande …della sua prorompente vitalità”, né sarò io a
scagliare la prima pietra sui suoi eccessi sessuali, talmente il
Serenissimo può risultare in virtù di essi ancora più simpatico
agli stessi chierici curiali, “ così fatto è questo guazzabuglio
del cuore umano”, ma ciò che non taccio è la grazia di cui
sovrabbondarono le sue vittime più strazianti, in virtù di quanto
egli ha provvidenzialmente peccato, come con una misericordiosità
dalle risonanze blasfeme si è compiaciuto di giustificarlo il
conservatore del Museo Diocesano.
Mi riferisco innanzi tutto a Jonadith
Fraschetta, ebrea di 77 anni, che il giorno 22 aprile 1600- quando
Vincenzo I era nella pienezza dei suoi poteri sovrani e delle sue
facoltà mentali- sulla piazza del Duomo di Mantova fu bruciata viva
per essere stata “ Striga, over per avere magliato molte
persone in vita sua et specialmente una monaca dell’ordine di S.
Vincenzo in Mantova la quale di già era ebrea e poi fatta
cristiana.”, come riferisce la cronaca manoscritta di certo
G.B. Virgilio, fattore rurale dei Gonzaga.
“Al quale spettacolo-
riporta Antonino Bortolotti, colui che ritrovò la cronaca negli
Archivi di Mantova, e che nel 1891 presso la Tipografia delle
Mantellate la rese pubblica in “ Martiri del libero pensiero”, -
furono presenti il Duca, ”- ossia il nostro Vincenzo
I, per l’appunto-, “e la Duchessa di Mantova, Margherita
duchessa di Ferrara e Anna Caterina arciduchessa d’Austria, venuta
da Inspruk, oltre una straordinaria folla di curiosi”. “La qual
Jonadith ebrea- seguita la cronaca originaria- legata
con molte funi in piedi ad una colonna di legno sopra una gran
quantità di legne, alle quali dopo di esser stato dato fuogo da tre
ebrei che la confortavano, duvi ( due) se ne fuggirono
et il terzo qual era vecchio et tanto intento al suo ufficio fu quasi
per restar con essa lei nelle fiamme…Nel qual mentre si bruciò le
funi colle quali aveva legato le mani; et con la mano destra si
faceva difesa dal fogo alla faccia soffiando anco colla bocca, ma
poco gli valse perché incontinente se ne caddi nelle fiamme et così
finì la sua vita”
A tale crimine fece seguito una grida
del 1603, con la quale Vincenzo I invitava ogni uomo del Mantovano e
del Monferrato alla denuncia di persone che “ con malìe,
stregonerie, incanti …e in altro modo malvagio o arte diabolica”
provocavano danni frequenti ed atroci, promettendo non solo che
il nome dell’accusatore non sarebbe stato rivelato, ma che a colui
che avesse fornito delle prove, tali da garantire almeno la tortura
dell’imputato, sarebbe stato concesso il riscatto dal bando
capitale o da altre eventuali pene cui fosse stato condannato, oppure
che ci avrebbe guadagnato del denaro.
E’ una sovrabbondanza di grazia che
può risultare oltremodo eccessiva pure per le anime più arrese
all’amabilità del “serenissimo” duca, se si rammemorano anche
i sette ebrei che l’anno prima, agli inizi d’agosto del 1602,
colpevoli di null’altro che di essersi fatti beffe del fanatismo
predicatorio antigiudaico del frate francescano Bartolomeo Cambi, ci
rimisero la vita, per permissione del duca, perché furono”
appiccati tutti ad un’alta forca coi piedi in suso, e con le
berrette gialle… con questa inscrittione in lettere maiuscole. “
Per haver schernita in derisione della Religione Christiana la parola
di Dio”.
Lo stesso Vincenzo nel riguardo degli
ebrei non seppe poi far di meglio che differire di rinchiuderli nel
ghetto fino al 1610.
Ora non mi si dica, a tal punto, che
copre i suoi peccati la grandissima fede dell’uomo Vincenzo, dopo
che nel catalogo della Mostra essa è stata degradata a
“manifestazione vistosa ma incoerente e superficiale”. Forse
occorre davvero accreditare ciò che lasciavano balenare ori e
splendori in esposizione, e rifarsi alla “magnifica liberalità, “
pari a quella “ di un re”, che “guidava” Vincenzo I a
favorire sfarzosamente la nostra Chiesa, ispirandogli l’istituzione
d’ordini religiosi come quello del “ Redentore o del
Preziosissimo Lateral Sangue di Cristo”, o sollecitandolo ad essere
così munifico di cripte e di reliquari splendidi nei suoi riguardi,
per spiegare il rendimento di grazie e l’indulgenza, pressoché
plenaria, concessi ad un duca siffatto da una mostra così
improponibile in un Museo Diocesano.
Odorico Bergamaschi,
ex insegnante,
Piazza d’Arco 6/f Mantova
0376360396