Signor Direttore,
L’intervento del professor Carpeggiani, apparso sulla Voce di Mantova di **, contro ogni indebita censura della mostra di Nitsch e dell’operato di Assman, mi sembra sia desunto da una storia dell’arte di un ammirevole candore, che in sapidi esempi ce la presenta come se si sia stata solo una sempre più veridica rappresentazione del reale, e non già, soprattutto nelle sue compromissioni con il sacro, anche una triste antenata e consorella degli orrori che inscena Nitcsh, in determinate messe in scena ed attuazioni di ciò che evochi, sia ciò di natura angelica o demoniaca, soprattutto attraverso il canto, la danza ed il teatro, i generi in cui rientrano a pieno titolo le installazioni di Nitsch . O vogliamo dimenticare che i braghettonatori michelangioleschi erano gli stessi che richiedevano le voci bianche di cantori evirati , così care ancora per Stravinskij, o che l’arte splendida di Usto Momin è decantazione della prassi centroasaiatica dei bacha baza, come la danza Orissi lo è del gotipua di acrobatici ragazzi piegati a ogni pratica ? Ho fatto esempi anche esterni all’arte occidentale, o di commistioni, perché in tempi di globalizzazione e di multimedialità, quando diventa possibile rappresentare ed inscenare di tutto con tutti i mezzi, anche i più sanguinari, o solo apparentemente innocenti, e si dà una mescidanza straordinaria di tradizioni e culture, siamo davvero noi tutti sotto gli occhi di tutti, ed è ancor più nostro dovere riaffermare determinati principi inviolabili per ogni forma d’ arte e di sacralità , quali gli articoli dell’Unesco che vietano ad ogni espressione artistica e religiosa il ricorso alla violenza ed all’offesa del corpo umano e animale, sia nella sua fisicità che dignità. Il professor Carpeggiani può ben convenire , del resto, che se la mostra di Nitsch è ben altro che ciò che si paventava, e se la rispettabilità di tutti è salva, lo si deve non solo alla condotta tutt’altro che rettilinea di Assmann, ma allo stesso dibattito accesosi sulle colonne locali in merito al suo allestimento, in cui davvero si è mescolato di tutto, di alto e di basso respiro. Comunque sia ben venga, alla buon’ora, nel suo elevato tenore, tale intervento del professor Carpeggiani, che è quanto di più ben accetto per i suoi strali appuntati contro ciò che soggiace a certi umori ostili alla mostra e ad Assmann, che sono ben di peggio che provincialismi , personalmente li direi forme di sovranismo culturale localistico, all’ insegna dell”’arte di Mantova ai mantovani”, in cui riecheggia lo slogan “Il palazzo Te ai mantovani” che si è udito questo estate in un augusto consesso. Tali stantii localismi sono il grido di dolore di un passatismo conservatore che si anima e si sente parte in causa solo contro tutto ciò che di moderno subentri in città, al cui coro va pur detto che è giocoforza unirsi se si vuole dire la propria di segno opposto, come è ora per Nitsch , per difendere i principi universali che pongono come inviolabile la dignità e la vita di ogni animale in qualsiasi opera d’arte, e come è stato già per la vasca battesimale in Sant’Andrea, che in sé non era certo inconcepibile architettonicamente, e tanto meno un tradimento dello spirito albertiano, ma che in tempi di interreligiosita culturale era improponibile perché vi si intendevano celebrare battesimi di apostasia. Invece mai che la voce di tali vestali si faccia sentire, quando si oltraggi o anche già nella destinazione d’uso si degradi ciò che è opera dell’architettura contemporanea, o quando la modernità è pseudo tale, e invece di sacrificare la decorazione per la funzionalità pratica è pura appariscenza propagandistica a discapito e incomodo di chi ha meno voce in capitolo ( vedasi il nostro decoro urbano alla voce city bin, per non dire dei microautobus bisdruccioli circolari del centro città), o quando la modernità anziché corrispondere a necessità sentite e condivise è ghiribizzo o uzzolo di corte di qualche nuovo Principe Duca ( vedasi il restyling originario di piazza L. B. Alberti). E solo i soliti noti si fanno sentire, quando la modernità anziché attualizzare il passato nelle concrezioni storiche da esso assunte, secondo il suo spirito più profondo, storicista, lo tradisce ed assimila d omogeneizza il passato alla propria fashion, operando il degrado commerciale ad attrattiva turistica del patrimonio storico artistico e ambientale. Così non una lamentazione o petizione da parte dei nostri storici e critici d’arte, o architetti e designer, contro gli oltraggi arrecati dall’insediamento della Progest alla massima espressione della modernità in Mantova, le cartiere Burgo. Ed invece, come nel suo intervento in questione lo stesso professor Carpeggiani, consentono appieno che si usi piazza Sordello e il Ducale od il Te per ogni sorta di evento, alla faccia della necessaria specificity, degradandoli a contenitore buono a ogni uso, in nome dell’interesse del nostro solo popolo grasso, che non è di certo quello del commercio e del popolo minuto, e del capitale umano di intelligenze e capacità che ugualmente sempre più faticaa restare insediato in città, o niente obiettano a che la zona Ztl la si destini a mostrificio dato in appalto a questa o a quell’Electa, nei profitti che a nostre spese genera ad altri. Nel loro silenzio assenso sembra che a tutti quanti costoro vada pure benissimo che si sia ritinteggiata la città tutta negli stessi toni di colore fantasmatici, Palazzo Te come Sant’Andrea o Palazzo d’Arco, in omaggio alla fashion decolorata che per turisticizzarla si è voluto imperante nella nostra città , al fine di renderla indistinguibile da ogni altra città d’arte occidentale e in ogni suo stile , pur di compiacere il desiderio dei suoi visitatori di ritrovarsi, ovunque siano essi nel mondo, fuori del mondo reale sullo stesso set, inautentico e falso, dello stesso non luogo che propina ovunque il turismo di massa. E tanto di guadagnato se così si attraggono i turisti a godersi il falso unicum dei falsi amanti di Valdaro, a scapito di ogni altro reperto e manufatto del nostro Museo Archeologico Nazionale, anche se per questo un nostro splendido Museo archeologico territoriale lo si è adulterato in un Museo archeologico fittizio della città di Mantova , ora annesso al Ducale di Assmann . Si tratta di un riallestimento che per elevare Mantua al rango che non aveva ai tempi di Roma, ne ha disconosciuto l’ origine etrusca e i legami in ciò con il Forcello,riconducendo ad essa suppellettili rinvenuti nell’agro modenese e nelle ville romane urbane, ben più di Mantova allora avanzate. E’ un misfatto di cui Assman che il professor Carpeggiani porta al settimo cielo, nel riceverlo in eredità, per annessione, sembra che neanche abbia avuto sentore, altrimenti affaccendato a promuovere e propagandare artisti che 8 su 10 dieci, o giù di lì, erano di area doc austro-bavarese .
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