sabato 29 giugno 2019

Su Nitsch. Lettera al direttore

 presunto assunto dell’arte presunta di Hermann Nitsch è in sé davvero ammirevole: disvelare l’arcano dell’orrore sacrificale su cui si fondano  l’ordinaria  vita religiosa nella sua economia sacrale e l’ordinaria  vita domestica nella sua alimentazione quotidiana. Che cosa pertanto eccepire alla sua messa in mostra nel Palazzo Ducale , sposando i  toni di sdegno  assunti dalla destra e dalla Curia di Mantova : dissacrare è sacrosanto, vi è pure un’antropologia cattolica di cui il più alto esponente è stato René Girard, che condanna la logica sanguinaria del sacrificio, il sacro che uccide la vita in nome della vita, messo al bando una volta per sempre dal sacrificio di Cristo , così  come tale sacertas  si è manifestata ancora una volta  nel recente Congresso mondiale  sulla famiglia di Verona. In fondo, a laicizzare le cose, Nitsch non offrirebbe  più di quello che è posto in vista nella macelleria dietro l’angolo di casa nei suoi banchi freezer. Ma un’obiezione di fondo si leva :  fossero pur  vere queste presupposizioni,  si sparga pure sulle tele il sangue che già sia scorso nei macelli, ma perché non ricorrere piuttosto a carne finta, che sia rappresentata , invece di fare dell’azione artistica con squartamenti e sventramenti il male stesso messo in atto, Satana che scaccia Satana? Non cambia di certo  le cose la giustificazione che si interviene su animali già uccisi, la sola logica nutrizionale ne potrebbe infatti  giustificare per i più  l’uccisione avvenuta , -semmai si ricorra ad animali morti di morte naturale e  in via di putrefazione-, e le cose le peggiora tremendamente il  sostenere che non è un sacrificio gratuito quello così inscenato,   visto che  l’artefice poi si nutrirebbe di tale carneficina dietro le quinte, poichè egli  in tale suo pasto carneo  trae profitto e giovamento alimentare da ciò che professa di voler denunciare. L’articolo 10  della Dichiarazione dell’Unesco del 1978  perora inoltre  la  difesa della dignità dell’animale  nelle rappresentazioni artistiche,  non solo della sua vita, per cui unicamente pezzi di carne anonima e solo per il nostro nutrimento  possono figurare macellati in pubblico,  per ipocrita che sia tale   assunto comune, come lo è ogni ritualità del male. Certo, rendere con carne  simulata, che sia terrificante in virtù di linea e di colore, tutto  l’orrore del sacrificio del mondo animale per appagare i nostri gusti alimentari, richiede che chi opera sia un artista come Rembrandt o Annibale Carracci  o Chaim Soutine,  non un’altra sorta di  macellaio, magari per mero  lucro imbonitore: e questo è già un altro discorso.

Odorico Bergamaschi

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